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Esiste davvero lo spazio politico per una “destra moderata”?

Nella sua analisi, come sempre lucida, chiara ed estremamente efficace, il prof. Paolo Pombeni, dalle colonne de Il Sole 24 Ore, delinea un quadro preciso in cui il centrodestra, con l’abbandono del liberalismo e l’approdo ad una «prospettiva populista verso il futuro», si trova ad operare.

Un affresco “verace” nel quale, fra l’altro, Ncd è rappresentata – in modo assai dettagliato ma non proprio lusinghiero – come la riproposizione, neppure troppo aggiornata, del “fu” Psdi.

Ciò che invece sembra far difetto al ragionamento proposto da Pombeni, il cui fine era quello di porre in evidenza la necessità di una “destra moderata”, è la presa di coscienza del cambiamento di spartito imposto dall’avvento del “renzismo”.

Se infatti, il berlusconismo ha favorito il bipolarismo, il renzismo sembra riconfiguarare uno scenario politico ex-prima Repubblica a parti invertite.

Andiamo per ordine. Nella cosiddetta prima Repubblica vi era un partito egemone, la DC, che copriva il centro e la destra moderata, relegando a “riserva indiana” la destra più oltranzista.

A sinistra, per contro, vigeva un “caos ordinato” con una sinistra moderata (o riformista) rappresentata essenzialmente dal PSI, la sinistra propriamente detta (o storica) rappresentata dal PCI e le espressioni spurie più oltranziste.

Con l’avvento del renzismo lo schema sembra ribaltarsi. Il PD, sempre più partito di Governo, oltre a rappresentare le istanze riformiste e della sinistra democratica, “occupa” gran parte del centro relegando le posizioni più ortodosse a semplice vessillo testimoniale. Mentre a destra vive un “caos disperato” con una destra populista (e per tanti versi, lepeniana) in forte ascesa di consensi ed un’area moderata (FI e NCD) emarginata al centro, sempre meno rappresentativa ed assai incolore.

Questo è lo scenario che il prof. Pombeni sembra sottovalutare e con cui, invece, si impone un confronto.

Quella “destra moderata” di cui si invoca la necessità, sembra non avere acqua in cui galleggiare: le istanze – storicamente rappresentate della “destra berlusconiana” – di un ceto medio assai provato dalla crisi economica sono in gran parte assorbite dalla propensione governativa (e da un Premier dinamico e, a suo modo, sedizioso) alla “rottamazione” ed alla crescita e, per una parte assai residuale ma chiassosa, dalle proteste di una una destra “sfascista” assettata di un consenso “a buon mercato”.

La consapevolezza di questo nuovo, inedito, assetto politico appare quindi la premessa indispensabile per un’analisi più realistica di un fenomeno, quello del dissolvimento della destra come si è andata strutturandosi nell’era berlusconiana, che si delinea più come un corollario -fisiologico – degli eventi, che come incapacità di proposta politica.

Eventi di cui la cosiddetta “destra moderata”, assai inconcludente, porta una responsabilità politica innegabile.


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