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Euro, da sogno a incubo anche per la Germania

La Svizzera si è sganciata dall’euro con una manovra tanto improvvisa quanto costosa per la sua Banca centrale, che ha dovuto valutare al nuovo tasso la moneta unica europea iscritta a riserva, eppure bene accetta ai mercati nonostante i primi dubbi sulla tenuta dell’export.

LA TENTAZIONE TEDESCA

Anche la Germania potrebbe valutare gli effetti di una uscita unilaterale dall’euro, piuttosto che aspettare i default a catena che seguirebbero allo sganciamento di Atene. Per la Germania sarebbe una manovra tecnicamente complessa, dirompente per via delle conseguenze che avrebbe sulla Unione europea e sicuramente inattuale perché innescherebbe una incontenibile reazione visti i tanti focolai di crisi politica ed economica già accesi, ma potrebbe risolvere le contraddizioni dimostratesi fin qui insanabili.

QUESTIONE DI CAMBIO

La prima questione, attualissima, è rappresentata dalla inconciliabilità, politica prima ancora che teorica, di una svalutazione dell’euro rispetto al dollaro in un contesto in cui l’eurozona ha gia una bilancia dei pagamenti correnti complessivamente attiva, ma sostanzialmente per via dell’export tedesco. Si determina una condizione di ulteriore vantaggio competitivo a favore di una economia chè già esporta deflazione per via del suo saldo estero attivo.

OCCHIO ALLA BILANCIA DEI PAGAMENTI

Se il 7 maggio del 2014 servivano ben 1,39 dollari per comprare 1 euro, lo scorso 25 gennaio di dollari ne bastavano appena 1,11. Il solo ripetuto annuncio del Qe da parte di Mario Draghi ha avuto un impatto sui movimenti di capitale tale da anticipare gli effetti della effettiva immissione di liquidità sul mercato. Il saldo della bilancia dei pagamenti correnti dell’Eurozona verso il resto del mondo, è stato attivo nel 2013 per 214 miliardi di euro. A fine novembre 2014, Il valore accumulato nei dodici mesi precedenti è stato di 239 miliardi di euro. La Germania ha proceduto ad un netto ribilanciamento nell’export: nel periodo gennaio-agosto 2014, il suo saldo attivo commerciale è stato complessivamente pari a 137 miliardi di euro, di cui 100,8 riferiti ai mercati extra Ue e 36,2 al commercio infra-Ue.

GLI EFFETTI DELL’AUSTERITA’ FISCALE

Fra la metà ed i due terzi del surplus dell’Eurozona verso il resto del mondo attingono alla Germania. L’attivo tedesco riferito all’Eurozona si è invece ridotto ad appena 0,8 miliardi di euro: è il frutto della drastica contrazione delle importazioni derivante dalla austerità fiscale. Il decoupling rispetto all’Eurozona non ha inciso sull’attivo tedesco, mantenutosi ad un livello eccezionalmente elevato: la bilancia dei pagamenti della Germania ha segnato un +6,2% del Pil nel 2014 ed è accreditata di un ulteriore miglioramento nel 2015 (+6,9%). In queste condizioni, la svalutazione dell’euro nei confronti del dollaro rappresenta un fattore di ulteriore squilibrio internazionale.

E SE LA GERMANIA SI SGANCIASSE DALL’EURO?

Di converso, uno sganciamento della Germania dall’euro avrebbe un duplice effetto positivo: da una parte, un nuovo marco tedesco, rivalutato sull’euro, ridurrebbe l’attivo commerciale complessivo della Germania; dall’altra, renderebbe maggiormente plausibile dal punto di vista economico e soprattutto accettabile sotto il profilo internazionale lo scivolamento dell’euro sul dollaro che comunque sembra aver toccato già il limite inferiore. Francia ed Usa ne avrebbero un vantaggio immediato, visto che sono i principali partner deficitari della Germania. Nel 2013, il passivo commerciale francese è stato di 27,4 miliardi di euro, mentre quello degli Usa è stato di 72,9 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 65,4 miliardi del 2012 ed ai 53,2 miliardi del 2011.

IL CASO SVIZZERO

Se la popolazione elvetica è meno del 10% di quella tedesca, con 7 milioni di abitanti rispetto ad 83 milioni, nel 2014 il Pil di Berna è stato pari al 17% di quello tedesco (679 miliardi di dollari rispetto a 3.820 miliardi). Nel 2014, l’attivo della bilancia dei pagamenti correnti elvetica è stato pari al 7,9% del Pi, ancora più alto di quello tedesco, ma ampiamente in linea con il trend strutturale che ha consentito alla economia elvetica di accumulare a partire dal 1997 un surplus pari al 193% dei Pil annuali. La Germania, che pure nel 1997 aveva pienamente assorbito lo shock della Riunificazione, nello stesso periodo ha accumulato un surplus complessivamente pari al 64%, meno di un terzo rispetto a quello svizzero.

I LEGAMI TRA EURO E FRANCO SVIZZERO

Il legame artificiosamente stabilito tra franco svizzero ed euro ha determinato nel 2014 un livello record nelle esportazioni: pari a 208,3 miliardi di franchi, in crescita del 3,5% rispetto all’anno precedente, determinando il surplus più alto della storia, 30 miliardi di franchi, maggiore di 6,4 miliardi rispetto al 2013. L’output gap della Svizzera, nel 2014, è stato negativo per l’1,1% del Pil, percentuale identica a quella della Germania. C’è poi un secondo dato, cruciale: in entrambi i Paesi, il contributo alla crescita reale recato dalla bilancia estera è stato negativo: -0,6% del Pil in Svizzera e -0,1% in Germania. In pratica, nonostante l’attivo, si “svende” la produzione, per via di un tasso di cambio troppo basso: per mantenersi alla pari, dovrebbero aumentare i prezzi in dollari. Il paradosso tedesco è evidente: il contributo estero alla crescita volge strutturalmente al negativo (+0,7% nel 2011, +1,4% nel 2012, -0,5% nel 2013, -0,1% nel 2014 e -0,2% nel 2015). Quanto più la Germania vende fuori dell’Eurozona e l’euro si svaluta sul dollaro, tanto più il Pil reale tedesco diminuisce.

CHE SUCCEDE IN GERMANIA

In Germania, dopo la crisi del 2008, si verifica lo stesso fenomeno rilevato in Svizzera: è divenuto un porto sicuro, ma non c’è bisogno di cambiare divisa ai capitali in cerca di protezione. Basta sottoscrivere Bund, per avere la sicurezza di un rimborso. Che poi rendano ineressi negativi, non ha importanza. L’economia tedesca è affogata di liquidità: quella derivante dall’avanzo delle partite correnti con l’estero e quella che proviene dagli investimenti esteri di portafoglio, vanno considerate congiuntamente al credito vantato dalla Bundesbank nei confronti delle altre Banche centrali europee nell’ambito del sistema Target 2, Il ritiro delle esposizioni bancarie nei confronti dei Paesi PIIGS ha proodotto una segmentazione del sistema finanziario europeo su base nazionale che tende ad escludere una condivisione dei rischi transfrontalieri, facendoli ricadere sulla Bce, attraverso i programmi SMP, Ltro, T-Ltro, gli acquisti di Covered Bond ed ABS. Di recente, il Qe ha cambato nettamente rotta, sancendo la responsabilità delle singole banche centrali nazionali a fronte degli acquisti, con un temperamento di mera facciata, sulla base di un rapporto 80-20. In conclusione, in Germania arrivano capitali e liquidità in dimensioni eccessive, per via di una unione monetaria disfunzionale: stagnano penalizzati. Non vengono riallocati nell’economia reale e rappresentano un pericoloso carburante per nuove bolle finanziarie, ma rappresentano comunque un debito verso l’estero.

DOSSIER TASSI

C’è poi la questione dei tassi di interesse: non hanno più la funzione di disincentivare il risparmio in favore dei consumi, né quello di rendere più profittevole l’investimento rispetto al costo del credito. Tassi negativi sono stati fissati dalla Bce e dalla Banca centrale svizzera, rispettivamente per scoraggiare i depositi ulteriori rispetto alla riserva obbligatoria e per contrastare l’eccessivo afflusso di capitali esteri. La Germania vede tassi negativi sui Bund, che trascinano al ribasso quelli sui depositi e le obbligazioni, erodendo la remunerazione del risparmio. Tassi contenuti in tutta l’Eurozona e liquidità eccessiva all’interno rappresentano un ostacolo alla stessa stabilità finanziaria della Germania. Con l’istituzione dell’euro, ha approfittato della impossibilità di procedere con aggiustamenti del cambio da parte degli altri partner europeio, guadagnando quote di mercato ed accumulando surplus consistenti fino alla crisi del 2008. Ora però rischia di girare a vuoto: dal punto di vista dell’economia reale, la svalutazione dell’euro fa sì che la merce tedesca venga venduta tendenzialmente in perdita; dal punto di vista finanziario, deve fare i conti con la difficoltà di lucrare alti tassi sull’estero, con i rendimenti negativi all’interno e con il pericolo latente di un default dell’intero sistema.

CONCLUSIONE

Anche la Germania è prigioniera dell’euro, molto più dei PIIGS: se tornasse al marco, dovrebbe affrontare il brusco crollo dell’export, gli effetti della rivalutazione del debito estero tedesco che vale ben 4 mila miliardi di euro, e la svalutazione degli asset detenuti all’estero. Dovrebbere mettere a budget almeno il dimezzamento dell’attivo netto sull’estero. Per otto anni, l’euro ha coronato il sogno della Germania, ora è il suo incubo: ogni mometa ha il suo rovescio, anche l’euro.

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