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Perché anche la Germania ora coccola il Ttip

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Il copione sembra ormai collaudato: a Bruxelles si discute, ma è a Berlino che si decide. E’ la regola che si sta seguendo per l’introduzione del Pnr (Passenger name register) in funzione anti terrorismo. La stessa cosa sta avvenendo per il Ttip (Transatlantic trade investment partnership), il controverso trattato che mira a fare a fare dell’Unione europea e degli Stati Uniti un’unica grande area di libero scambio. Inconcludenti da due anni, di colpo le trattative sul Ttip hanno ripreso slancio, in modo forse decisivo. Il giro di boa si è verificato lunedì scorso a Berlino, durante un convegno organizzato dalla Spd, il partito socialdemocratico, con la partecipazione del Commissario Ue al Commercio, Cecilia Malmström, e dei capi della Confindustria e della Camera di commercio tedesca.

A dare un segnale netto di cambiamento è stato l’intervento del leader della Spd, Sigmar Gabriel, che è anche il numero due del governo guidato da Angela Merkel, nella duplice veste di vice cancelliere e ministro dell’Economia. “Finora si è parlato troppo di polli al cloro, e troppo poco del significato geopolitico del Ttip”, ha esordito, lasciando di stucco la platea. E’ noto infatti che il primo a bloccare le trattative Ue-Usa era stato proprio Gabriel, quando nell’autunno scorso pose il veto tedesco sulla clausola (nota con la sigla Isds) relativa a un unico arbitrato internazionale per risolvere le dispute tra Stati e società multinazionali. Posizione che poi è stata fatta propria anche dal governo francese, nonché dal gruppo socialista al Parlamento europeo, compatti nel chiedere di cancellare la clausola Isds dal trattato.

Questi veti hanno pesato non poco sull’andamento deludente dei negoziati Usa-Ue, in corso dal 2013, tanto che anche il settimo round, all’inizio di febbraio, si è concluso con un rinvio. Che cosa abbia spinto Gabriel a cambiare idea, lo ha spiegato lui stesso: “Il Ttip ha una duplice valenza su scala mondiale, geopolitica ed economica. E se la Germania non vuole perdere influenza nel mondo, deve assolutamente fare in modo che il trattato commerciale Usa-Ue vada in porto”. E visto che il punto nodale è la clausola Isds, invece di cancellarla, Gabriel ha proposto di riscriverla, sostituendo il tribunale unico (mondiale e privato), come previsto finora, con una Corte di giustizia pubblica, indipendente e trasparente, a cui possano appellarsi sia gli Stati sia le multinazionali, dopo una prima sentenza sfavorevole. “A quel punto”, ha precisato Gabriel, “chi perde paga i costi”.

La soluzione proposta è stata subito accolta con favore dalla svedese Malmström, commissario Ue al Commercio, che finora si era trovata in un vicolo cieco, esautorata di fatto dai Paesi europei di maggior peso politico, con la prospettiva di un fallimento anche sul piano personale. Nel ringraziare Gabriel, ha sottolineato che “la Germania sarà tra i Paesi che avranno i maggiori benefici dal Ttip, un trattato che, nonostante tutto, è ben visto dalla maggioranza dell’opinione pubblica in Europa”.

Su quest’ultimo punto, per la verità, i sondaggi sono contrastanti. Secondo l’Eurobarometro del 19 febbraio, il Ttip ha più oppositori che sostenitori. In Germania, il 41% è contrario, il 39% a favore, mentre il 20% non si esprime. In Austria e in Lussemburgo, i contrari sono ancora più numerosi (53 e 43% rispettivamente). Di certo, come ha riconosciuto la stessa Malmström, la Germania “è il Paese dove il dibattito sul Ttip si è rivelato più caldo”, anche al livello popolare.

Tanto che la petizione europea per fermare il negoziato Ttip, su un milione e mezzo di firme raccolte, ne ha contate ben 934 mila tedesche, mentre quelle previste al lancio dell’iniziativa erano appena 72 mila.

Gli altri Paesi che hanno raccolto più firme sono Gran Bretagna, Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Austria, Slovenia e Finlandia, mentre dall’Italia sono giunte appena 14.456 firme, un quarto della soglia fissata in partenza (54.750). In fondo, è anche da questi numeri che si può valutare la caratura politica della classe dirigente tedesca: lo stesso Gabriel ha avuto coraggio nell’andare contro l’ala sinistra del suo partito, che tuttora è contro il Ttip, insieme ai sindacati e alle organizzazioni Ong (non governative).

A differenza dell’Italia, dove il Ttip è un tema politico ignorato (con l’unica eccezione di Italia Oggi), in Germania i centri studi più autorevoli hanno sviscerato il problema, fornendo al governo Merkel materiale prezioso. “La questione centrale è decidere se vogliamo che l’Europa e la Germania si uniscano agli Stati Uniti e alla Cina nel decidere il destino del mondo, oppure se vogliamo sedere al tavolo dei bambini, mentre il G2 domina” ha spiegato Michael Huther, direttore del centro studi IW di Colonia, nonché autore del paper geopolitico che ha forse influito di più sulla nuova posizione di Gabriel. “La Germania esporta in Usa merci per 90 miliardi di euro l’anno, l’8% del suo export, con cui dà lavoro a 600 mila addetti. Il Ttip serve non solo per stabilizzare questi addetti e questo fatturato, ma per aumentarlo”. Insomma, Germany first. E l’Europa, come l’intendenza di Charles De Gaulle, seguirà.

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