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Ecco perché Google festeggia le ultime novità sull’oblio

Il comitato consultivo nominato da Google (The Advisory Council to Google on the Right to be forgotten) per fornire indicazioni sulla corretta applicazione della sentenza europea sul diritto all’oblio ha prodotto il suo report e, nonostante alcune spaccature (segnalate in appendice), le indicazioni fondamentali sono chiare: l’oblio su Internet non è affatto un oblio; i giornali i cui articoli vengono tolti dai risultati di Google devono essere avvisati e avere il diritto di appellarsi; la sentenza europea si deve applicare solo in Europa e non a livello globale; l’eliminazione dei link dai risultati di ricerca può essere negata da Google se a chiederla è un personaggio di rilevanza pubblica perché qui il diritto a sapere da parte degli utenti vale più del diritto alla privacy della persona.

Dalla sentenza di maggio 2014, Google ha ricevuto circa 210.000 richieste di rimozione di link e ne ha rimossi il 40%, secondo il Google Transparancy Report.

I MEMBRI DEL COUNCIL

Del comitato che ha fornito la consulenza a Google (senza alcun compenso se non il rimborso spese, si legge nel report, e l’assistenza di uno staff di segreteria) hanno fatto parte, tra gli altri, Luciano Floridi, professore di Filosofia e Etica dell’informazione all’Università di Oxford, Sylvie Kauffman, direttore editoriale di Le Monde, Frank La Rue, Rapporteur dell’Onu sulla libertà di opinione ed espressione, José-Luis Pinar, ex direttore dell’autorità spagnola sulla protezione dei dati, Jimmy Wales, fondatore e presidente emerito della Wikimedia Foundation. Il Comitato consultivo ha anche girato sette città europee, tra cui Roma, per discutere delle modalità di applicazione della sentenza sul diritto all’oblio e consultato una serie di esperti: da noi anche i giornalisti Massimo Russo e Gianni Riotta e il presidente di Confindustria digitale Elio Catania.

NON PARLIAMO DI OBLIO

Google ha chiesto all’Advisory Council sul diritto all’oblio di fornire un parere su come trovare il miglior equilibrio, nell’applicazione della sentenza europea del maggio 2014, tra il diritto individuale alla privacy e il pubblico interesse ad accedere all’informazione. Il primo punto che l’Advisory Council chiarisce è che la sentenza non stabilisce affatto un diritto ad essere dimenticati. L’implementazione della sentenza non determina infatti l’oblio dei dati su un determinato soggetto, ma solo la rimozione di uno o più link nei risultati di ricerca di Google, laddove tali risultati siano riconosciuti “inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi”.

Il report infatti si riferisce all’eliminazione dei link come delisting, non come oblio. Le informazioni, pur se tolte dai risultati di ricerca, continuano ad esistere nella loro fonte originaria; solo, l’accessibilità su vasta scala al grande pubblico è limitata. Ricerche più estese o approfondite possono comunque riportare a quelle informazioni: è il link che viene eliminato, non l’informazione.

PERSONAGGI PUBBLICI

Se in generale, per la sentenza della Corte europea, il diritto fondamentale alla privacy supera sia l’interesse economico del motore di ricerca sia l’interesse del pubblico a trovare l’informazione con la ricerca, ci sono casi in cui la libertà di espressione e il diritto all’accesso all’informazione valgono più di tutto. La sentenza, del resto, non chiede a Google di rimuovere i link se c’è un superiore interesse pubblico nel mantenerli, per esempio per il ruolo del soggetto nella vita pubblica. Per il delisting dunque il comitato individua quattro criteri-guida, ribadendo che, tra questi, è fondamentale guardare al ruolo del detentore dei dati: politici, amministratori delegati, celebrità, leader religiosi, artisti e atleti famosi si aspettino di vedersi negata la richiesta di essere tolti dai risultati di ricerca. Un discorso di natura politica, per esempio, deve restare noto: anche se non rispecchiasse più le opinioni di chi lo ha pronunciato “raramente potrà essere tolto dai link”, dice il comitato. Più sfaccettati i casi legati ad atti criminali: da un lato, se il responsabile ha scontato la pena e ora cerca il reinserimento nella società, il delisting è ammissibile, dall’altro però ci sono crimini che devono sempre restare noti, come quelli contro l’umanità.

IL RUOLO DELLA FONTE GIORNALISTICA

Un altro criterio per decidere il delisting è la considerazione della fonte. Se questa è una “organizzazione giornalistica che opera in base a regole e best practice del giornalismo, c’è un superiore interesse pubblico ad accedere alle informazioni pubblicate da tale fonte”. Lo stesso vale per quanto è pubblicato da blogger e autori riconosciuti, autorevoli e credibili. Informazioni pubblicate col consenso del soggetto interessato non dovrebbero essere eliminate. Inoltre, il comitato accoglie le obiezioni dei rappresentanti dei media sul fatto che il delisting lede i loro interessi e consiglia di informare gli editori online della rimozione di link che riconducono a loro contenuti e, in alcuni casi, anche di informare i webmaster prima di effettuare un delisting. Infine, gli editori dovrebbero avere modo di appellarsi a un’eventuale decisione di Google di togliere dei link a loro articoli.

LA SENTENZA VALE SOLO IN EUROPA

Tema caldo sollevato dalla sentenza è l’ambito geografico di applicazione: solo in Europa o su scala globale? Il problema è emerso fin dalle prime “sparizioni di link”, tolti dalle varie versioni europee di Google, ma non da Google.com. La sentenza non chiarisce questo punto ma l’avviso generale del comitato consultivo è chiaro: “Gli utenti in Europa, quando digitano www.google.com nel browser, vengono automaticamente ridiretti a una versione locale del motore di ricerca. Google ci ha detto che il 95% di tutte le richieste che hanno origine in Europa avviene su versioni locali del motore di ricerca. Per questo riteniamo che i delisting applicati alle versioni europee della ricerca proteggeranno, in via generale, i diritti del soggetto cui si riferiscono i dati”. Ovviamente il comitato riconosce che applicare il delisting anche alla versione globale di Google proteggerebbe ancor di più il diritto alla privacy, ma la “maggioranza” del comitato ha riconosciuto che qui c’è un interesse da parte degli utenti fuori dall’Europa ad accedere a quei link, garantito dalle leggi dei loro paesi, che entra in competizione con la sentenza europea. Inoltre, c’è da considerare il diritto degli utenti europei ad accedere a versioni non-europee di Google: bloccare questo accesso, confinando (“lock”) gli utenti europei alle versioni nazionali, rischia di creare un pericoloso precedente di censura.

Per il Wall Street Journal questa conclusione del report è in linea con quanto gradito da Google e dalle aziende americane, che temono una lesione del diritto d’espressione e di informazione, e in contrasto con la visione delle autorità europee secondo cui il delisting dovrebbe valere per tutte le aziende che fanno affari in Ue. Ma proprio questo è il punto: le aziende estere che fanno affari in Ue vogliono libero accesso a informazioni che potrebbero avere un peso per il loro business.

I COMMENTI DI FLORIDI

L’applicazione europea e non globale del diritto all’oblio è stata fortemente sostenuta dal professor Luciano Floridi. Contro chi ritiene opportuno che Google estenda il delisting a tutti i suoi siti globali, visto che sono accessibili dall’Europa, Floridi scrive: “Si consideri il seguente scenario: il giorno dopo un delisting mondiale, niente fermerà uno stato dittatoriale dall’ospitare un motore di ricerca che fornisce i link alle informazioni tolte. Sarebbe ironico se dovessimo trovare informazioni usando un motore di ricerca con base in Nord Corea perché è più completo di quelli locali”. Altro punto di cui il professore sottolinea l’importanza è quello che riguarda gli editori: “Sono dell’opinione che gli editori debbano essere messi a parte della richiesta di valutazione di un delisting: dovrebbero avere il diritto di sapere se qualcuno ha chiesto al motore di ricerca di togliere un’informazione che essi hanno legalmente pubblicato, informati della decisione presa dal motore di ricerca riguardo a tale richiesta e forniti della possibilità di appellarsi, se non sono d’accordo con la decisione di delisting”.



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