Il disvelamento del sommo filosofo tedesco catto-nazista, antisemita e razzista, Martin Heidegger, icona dei maitre à penser di una certa nostrana intellettualità gauchiste, è compiuto: ora il Re è, come si dice, davvero nudo.
A far crollare il mito che ha tormentato la storia della cultura del ‘900, sono stati il filosofo francese Emmanuel Faye e il Corriere della Sera del brillante Ferruccio De Bortoli che ne ha ospitato, lunedì scorso, un preziosissimo, circostanziato e documentato intervento nelle pagine della cultura.
Esplosivo nel titolo profeta del IV Reich, sperava nel ritorno del dominio tedesco e deflagrante nelle conclusioni [Heidegger] non solo nega la realtà storica dei fatti, riducendo il numero delle vittime, nonchè ogni specificità del genocidio nazista ma annulla l’essere stesso delle vittime dei campi, l’intervento di Faye se non ha chiuso, ha messo però una pietra miliare sull’affannoso e patetico tentativo di salvare il pensiero nazista di Heidegger anche alla luce delle chiare e limpide affermazioni, naziste, contenute nei Quaderni neri.
L’autore di Essere e tempo, non solo giustificò teoricamente l’annientamento poi assurdamente articolato nell’auto-annientamento del nemico, ossia gli ebrei, come a voler prefigurare il cinico e baro destino al suicidio collettivo, ma condivise, e quasi a ispirarla, la politica del III Reich verso gli ebrei stessi.
Infatti, come chiarisce Faye, nel 1941 mentre si va precisando la politica nazional-socialista di costringere con ogni mezzo i dirigenti delle comunità ebraiche a coinvolgersi nella organizzazione della propria distruzione, [Heidegger] scrive nei Quaderni neri che il genere più alto e l’atto più alto della politica consiste nel manovrare con il nemico per metterlo in una situazione in cui si trova costretto a procedere al proprio auto-annientamento.
In tal senso la prospettiva cambia radicalmente: e quel manovrare con il nemico per metterlo in una situazione in cui si trova costretto a procedere al proprio auto-annientamento, porta dritti dritti alla devastante prassi politica esplicitata negli anni ’30 e ’40 di eliminazione non solo fisica del nemico, di quel che contrastava con il fascismo e nazismo da una parte e con il marxismo-leninismo dall’altra: Antonio Gramsci e Piero Gobetti, Carlo Rosselli e Giacomo Matteotti, il filone azionista laico e libertario furono le vittime eccellenti del catto-comunismo, su cui si modellò la via italiana al socialismo, di Palmiro Togliatti.
Prassi heideggeriana riproposta poi dai maitre à penser d’estrazione esistenzialista che a partire dalla daseinanalyse di Ludwig Binswanger arriva alla declinazione sessantottina con Michel Foucault e Franco Basaglia: la libertà assoluta che senza una teoria sulla realtà ha portato a una prassi politica cieca.
E di lì qualche decennio dopo si sarebbe evidenziato che l’influenza heideggeriana aveva contagiato la zona franca, incontaminata, dell’ex-Pci, dove riprendeva vigore la vulgata togliattiana assimilata nel compromesso storico di Enrico Berlinguer.
Questa benvenuta e salutare rivelazione mediatica del Corriere della Sera dei fondamenti nazisti del pensiero heideggeriano coincide con l’anniversario del 70esimo della Liberazione dal nazi-fascismo: e forse va detto che il processo di Liberazione incompiuto di 70 anni fa, si può realizzare oggi anche sul piano della cultura rimasta finora avvinghiata e sedotta dal pensiero heideggeriano.
E ancora, che si può anche andare oltre, essendo da tempo divenuta di dominio pubblico la teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli, citato da Faye sul Corriere della Sera per la scoperta della pulsione d’annullamento che permette di far piena luce sulla specificità dell’annientamento nazional-socialista degli ebrei, eliminati, fatti sparire, nel fumo delle camere a gas come se non fossero mai esistiti.
Fagioli infatti sin dal 1971 con Istinto di Morte e Conoscenza ha dimostrato, al contrario delle teorizzazioni razziste di Heidegger e dei suoi epigoni, che alla nascita tutti gli esseri umani sono uguali: è l’uguaglianza per natura che non è un fatto culturale, il cardine della realtà umana.