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I furbetti del concorso pubblico

Con questo blog vorrei condividere con i lettori – auspicabilmente, avviando con loro un confronto costruttivo – le mie riflessioni sui principali temi concernenti la Pubblica Amministrazione e, in particolare, la cosiddetta Riforma delle Istituzioni. Il punto di vista che vorrei assumere, proponendolo ai lettori, è quello su cui da tempo scrivo sulle colonne di Avvenire, ovvero, quello del rapporto tra istituzioni e sviluppo economico e, quindi, per dirla come Acemoglu e Robinson (Perché le nazioni falliscono. Alla origini di prosperità, potenza e povertà, Il Saggiatore, 2013), sulla contrapposizione tra istituzioni inclusive e istituzioni estrattive. L’intento è, ovviamente, quello di stimolare il dibattito cercando di indirizzare il legislatore verso politiche tese a promuovere una riforma in chiave inclusiva della Pubblica Amministrazione.

Scendiamo però nel concreto. Un esempio delle conseguenze pratiche di quei caratteri estrattivi (e quindi dannosi per la crescita e lo sviluppo) che, nella totale indifferenza della Riforma Madia, pervadono ogni aspetto della pubblica amministrazione – rappresentandone il vero punto dolente su cui riforme e controriforme si sono sin qui sempre tenute alla larga – è rappresentato dalla vicenda degli idonei in graduatoria (#idoneiinpiazza2015) che, dopo aver regolarmente superato un concorso pubblico, si sono visti negare l’accesso agli impieghi pubblici per i quali avevano concorso. Un vero e proprio esercito, più di 80.000 ragazzi che a Roma, in piazza Montecitorio, hanno manifestato per far sentire la propria voce.

L’ampia discrezionalità concessa alla pubblica amministrazione in materia di assunzioni aveva portato spesso al verificarsi di situazioni paradossali, in cui graduatorie vigenti finivano per accumularsi e sovrapporsi, creando una situazione di grave disparità di trattamento. Le aspettative degli idonei venivano regolarmente frustrate da enti che preferivano, con dispendio di denaro pubblico, bandire nuove procedure selettive in luogo di assumere personale già selezionato pochi mesi prima. A ciò si aggiunga che il nome dei ragazzi in graduatoria è pubblico e visibile, e non di rado avveniva che l’ente scorresse graduatorie fino ad arrivare all’assunzione di alcuni (i soliti alcuni), tagliando fuori gli altri. La situazione trovava una parziale soluzione con l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 14/2011, che sanciva la prevalenza dello scorrimento delle graduatorie sullo strumento del concorso. Successivamente, il decreto c.d. d’Alia (101/2013) estendeva e rendeva normativo tale principio, per esigenze di taglio alla spesa pubblica e di trasparenza dell’azione amministrativa.

Tuttavia, nonostante l’inequivocabile dato normativo, in barba a qualsiasi più elementare principio di trasparenza e meritocrazia, alcune amministrazioni si mostrano riluttanti all’idea di applicare una disciplina che, di fatto, le priva del diritto di mantenere una simile ingiustificata ed ingiustificabile discrezionalità (o, meglio, arbitrio). Per questo a Montecitorio gli idonei sono scesi in piazza:  per chiedere il rispetto dei propri diritti, per chiedere che, una volta per tutte, sia loro assegnato quel posto per cui hanno vittoriosamente concorso.

Esemplificativo, al riguardo, è il caso del Ministero degli Affari Esteri e del prestigioso concorso diplomatico. Ecco il racconto degli idonei: “Il MAECI era solito bandire concorsi quasi annualmente, tagliando fuori sistematicamente le graduatorie ancora vigenti. Di tali graduatorie, addirittura, si spingeva a non riconoscere nemmeno la vigenza. Il MAECI continuava così a bandire anche successivamente al decreto 101/2013, sulla base di una non meglio specificata “specialità” che, a suo giudizio, lo esonerebbe dall’applicazione delle leggi dello Stato, in un regime di impermeabilità al diritto che mal si concilia con il pubblico impiego e i principi che dovrebbero regolarlo. Nonostante le affermazioni di specialità asserite dal dicastero, infatti, il MAECI applica senza alcun tipo di problema il principio dello scorrimento alle altre categorie di personale, e lo ha applicato anche al concorso diplomatico in anni recenti, sebbene in modo parziale. Negli anni 2008 e 2010, infatti, il MAECI assumeva solo parte delle graduatorie, provvedendo contestualmente a bandire nuovi concorsi. Non si intuisce per quale ragione gli attuali idonei diplomatici dovrebbero vedersi negare il posto a cui avrebbero diritto, nonostante pochi eletti abbiano beneficiato del trattamento opposto. La specialità, in questo caso, sembra sussistere solo ad intermittenza, in violazione non solo di legge, ma anche dei più fondamentali principi dell’azione amministrativa”.

La problematica degli idonei rappresenta certamente una questione spinosa, che interessa le vite (e i destini) di tanti giovani e che, come tale, non può essere ignorata. Neanche la giustizia amministrativa, complici le sue lungaggini e i tecnicismi di una tutela cautelare che risulta inadeguata per la gestione di fattispecie di questo tipo, è riuscita sin qui a dare risposte. Crediamo però che sia la politica, prima ancora che la giustizia, a dover trovare una soluzione per restituire dignità a questi ragazzi e alle loro storie personali. Ovviamente, a patto di voler realmente mantenere quelle promesse di trasparenza e di meritocrazia che troppo spesso vengono sventolate senza, purtroppo, trovare corrispondenza sul piano pratico.

fabio@fgangelini.com


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