Pur di far fuori Matteo Renzi, anche il diavolo e l’acqua santa si possono alleare. Dopo aver disertato l’aula di Montecitorio, ora i “furbetti del quartierino” (le forze di opposizione) salgono al Colle per denunciare il neoassolutismo del “bullo di periferia”. In ordine sparso, a dire il vero: una specie di “ognuno per sé e nessuno per tutti”. Tutti allarmati, tuttavia, da riforme istituzionali e elettorali che metterebbero a repentaglio le sorti democratiche dell’Italia. Al netto dei tatticismi e delle convenienze di partito che caratterizzano lo scontro in atto, domandiamoci se quell’allarme ha un fondamento.
Quando Beppe Grillo, Renato Brunetta e Nichi Vendola evocano la distinzione tra legittimità e legalità (con riferimento al Parlamento eletto con una legge bocciata dalla Consulta) dovrebbero evitare un rischio. Il rischio è quello di considerare – secondo una tradizione che definisce il pensiero cosiddetto reazionario – la legittimità un principio sostanziale gerarchicamente superiore, di cui la legalità giuridica non sarebbe che un epifenomeno o un effetto. È però anche vero che, se il principio legittimante della sovranità popolare si riduce esclusivamente al momento del voto e alle sue procedure, la legittimità tende a scomparire nella legalità e il sistema politico si paralizza.
In fondo, è quanto è accaduto più di una volta nell’esperienza delle democrazie moderne. Mettiamo però da parte le questioni dottrinarie e stiamo ai fatti. Il passaggio allo scrutinio maggioritario ha introdotto una cesura nella storia repubblicana, minando l’impianto proporzionalistico della Costituzione. Dopo il 1993, la tensione tra architettura formale e assetto reale dei poteri si è progressivamente accentuata. Il mercato politico si è spostato nel Paese, mentre prima si svolgeva nelle Camere. C’è allora il pericolo che un uso crudo e una forzatura estrema del criterio maggioritario incoraggino slittamenti di tipo “bonapartista”? Non si può escludere.
Eminenti studiosi, da Alexis de Tocqueville a Max Weber a Franz Neumann, hanno osservato che essi nascono e si sviluppano sempre in contesti democratici. Tuttavia, è ragionevole supporre che il patto tra Renzi e Berlusconi potesse spianare la strada a un “golpe giacobino”? A me non sembra. Certo, se si vuole impedire che la volontà generale di Rousseau si imponga sulla divisione dei poteri di Montesquieu, sono indispensabili riforme istituzionali che limitino l’onnipotenza della maggioranza (senza dimenticare il nodo della giustizia, fin qui colpevolmente negletto).
Ma continuiamo a discutere sui contenuti queste riforme, più che fare l’analisi del sangue di chi le propone. Perfino Kant diceva che “il problema dell’instaurazione di uno Stato, per quanto ciò possa suonare aspro, è risolvibile anche da un popolo di diavoli, purché abbiano intelletto”.