Il ruolo delle cosiddette Nazioni-senza-Stato è oscurato da qualsiasi media italiano, televisivo o cartaceo. Fatta qualche rara eccezione per alcuni network su internet, il tema è oscuro ai più.
Lo spinoso argomento viene a galla solamente quando la notizia è effettivamente troppo grande da poter essere contenuta all’interno del misero catino dell’informazione radiotelevisiva e cartacea: la tracimazione, in sostanza, fa emergere dei servizi ad hoc su, ad esempio l’indipendenza Scozzese, la manifestazione contro le servitù militari in Sardegna, il significativo aumento delle formazioni non italianofone – e secessioniste – del Sud Tirolo.
In buona sostanza, quando non si può fare a meno di tacere, allora il servizio ci può anche stare ma, in ogni caso, si dà priorità alla cronaca politica e ai retroscena, categoria di cui i quotidiani della Penisola abbondano: non si producono notizie o dibattiti che scaturiscono da notizie, bensì retroscena, come se ogni lettore sia in grado di intendere ogni minimo dettaglio e alambicco della scena principale, per così dire.
Quello delle Nazioni-senza-Stato è, dunque, uno di quei temi per cui vale la pena andare a fondo e leggere qualcosa e, sebbene non mi voglia né dilungare, né inerpicare in discorsi che un post su di un blog non potrebbe sostenere, giacché altrimenti si sfocerebbe in uno di quegli articoli talmente lunghi che nessuno oserebbe leggere fino alla fine, porto l’esempio principe in tal senso, Kobane.
A Kobane, l’Islamic State ha combattuto contro una popolazione all’interno di un territorio che, concretamente, non è riconosciuto: il Rojava, o le tre parti che lo compongono, ovvero il cantone di Afrin, Jazira e Kobane.
I Curdi, normalmente, considerano il Rojava una delle quattro parti che vanno a comporre quello che è il Kurdistan, cioè un ideale territorio che comprende anche alcune parti del sud-est della Turchia (Kurdistan del Nord), nel nord Iraq (Kurdistan meridionale), e l’Iran occidentale (Kurdistan orientale); Kobane va a comporre il western Kurdistan, cioè il Kurdistan occidentale.
Il territorio del Rojava, in ogni caso, non è riconosciuto come autonomo dal governo Siriano e Kobane è nelle mani delle milizie dell’YPG/YPJ dal 2012.
Nel 2014 la città viene attaccata e assediata dall’Is (Stato Islamico) e la Nazione-senza-Stato per eccellenza è accerchiata e lasciata sola con le sole proprie forze, mentre la Turchia di Erdogan è stata colpevolmente silente sulla questione.
Per evitare di tracimare ancora in collocazioni spazio-temporali, cerco di arrivare al nocciolo della questione: il ruolo della Nazione-senza-Stato in questione è stato – sia perdonato il bisticcio – quello di aver fermato le truppe dello Stato Islamico con le sole proprie forze.
Il Rojava, e i cantoni che lo costituiscono, hanno agito da salvaguardia democratica in difesa della propria stessa esistenza.
Esistenza stessa che la comunità internazionale e i governi dell’area mediorientale non hanno riconosciuto.
In buona sostanza, tagliando con l’accetta il concetto a beneficio – però – del lettore: l’Islamic State è stato fermato da un’entità che non solo non è stata riconosciuta come autonoma, non solo non è addentro alle logiche del Capitale e del libero mercato, ma è anche l’agglutinante di forze politiche e partitiche considerate clandestine (e filo terroristiche) dalla Nato, dalla Turchia, dagli Usa e dall’Unione Europea, come il PKK (Partito dei Lavoratori Curdi).
L’affermazione delle Nazioni-senza-Stato è, dunque, il primo passo per la riconsiderazione dell’assetto nazionalista apportato nel ‘900 postbellico; la questione diventa dirimente, e nient’affatto secondaria, quando gli esempi di autodeterminazione diventano significativi più ne si enumerano i casi: Palestina, Kurdistan, Groenlandia, Isole Faroer, Isole åland, Scozia, Sardegna, Paese Basco e via dicendo.
Lo Stato che più tutelava le cosiddette ‘autonomie regionali’, valorizzandole come parti integranti autonome di un tutto, fu l’Unione Sovietica, come ha scritto in “I Nazionalismi nell’Europa contemporanea” Rogers Brubakers: «L’Unione sovietica non era né concepita in teoria, né organizzata nella pratica, come uno Stato-nazione […] Non definiva in termini di nazionalità lo Stato o la cittadinanza come un tutto unico, ma parti componenti lo Stato e la cittadinanza».
Una sorta di federalismo etnoterritoriale, come Brubakers stesso lo qualificava, che aveva rimando nella costituzione dell’URSS del 1936: «L’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche è uno Stato federale, formato sulla base dell’unione volontaria, a parità di diritti, delle seguenti Repubbliche Socialiste Sovietiche» [… ] «Ogni Repubblica federata ha una propria Costituzione, che tiene conto delle peculiarità della repubblica ed è redatta in piena conformità con la Costituzione dell’URSS» infine «Ogni repubblica federata conserva il diritto di libera secessione dall’URSS».
Nel 1977 il preambolo, riguardo il rapporto tra Mosca e il rest delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, viene così riformulato e volto a vantaggio della Russia brezneviana, andando a volgere l’autodeterminazione a sé, pur conservando il diritto di «libera secessione»: «L’URSS è uno stato plurinazionale federale unitario, formato sulla base del principio del federalismo socialista, come risultato della libera autodeterminazione delle nazioni e dell’unione volontaria, a parità di diritti, delle Repubbliche Socialiste Sovietiche […] Ogni repubblica federata conserva il diritto di libera secessione dall’URSS».
Il ruolo delle ‘Nazioni senza Stato’
Di