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Il ruolo di Obama nella tregua fra Tsipras e Merkel

Grecia fuori o Grecia dentro? Il gioco della settimana si è chiuso senza vincitori né vinti. La Grecia resta dentro. Syriza dovrà ingoiare una limitazione della sovranità nazionale perché fallire provocherebbe uno sconquasso (hai voglia a dare la colpa a Berlino quando i forconi ti inseguono ad Atene). I tedeschi con l’elmetto a punta (a cominciare dalla Bundesbank) dovranno attendere ancora un po’, almeno i quattro mesi di tempo concessi dall’Eurogruppo. Lunedì verrà presentato dal governo Tsipras un programma meno radicale di quello promesso agli elettori (come volevasi dimostrare), ma attenzione il compromesso non è un accordo, è una tregua, un cessate il fuoco, come in Ucraina. Ed esattamente come in Ucraina, può durare solo pochi giorni.

Dunque, che cosa si può dire nel merito senza conoscere esattamente quel che il ministro delle Finanze Varoufakis presenterà la settimana prossima? Qualcosa, invece, si può analizzare sul terreno politico.

L’accostamento tra Grecia e Ucraina è stato fatto nei giorni scorsi per il ruolo centrale che Angela Merkel ha assunto in entrambe le crisi. Ma attenzione, c’è anche un legame meno ovvio, perché la scelta se tenere la Grecia dentro e fuori ha componenti geopolitiche importanti, si collega direttamente alle ambizioni della Russia e, anche se l’ipotesi che Mosca possa salvare la Grecia è un bluff, è vero che Vladimir Putin semina zizzania in Europa.

Dalla doppia mediazione, la Cancelliera esce parecchio ridimensionata. Sul fronte russo nulla è cambiato, zar Putin continua a prendere in giro sia i pacifisti sia i diplomatici. Gli uni si presentano disarmati, gli altri con la pistola scarica. Che potere contrattuale possono avere?

Sul fronte greco la Merkel ha tenuto a bada l’ala più intransigente del suo partito, ma il Nein del ministro delle Finanze e della Buba pesa, eccome. Inoltre ha influito molto la frenata imposta dai socialdemocratici. Per la prima volta la Kanzlerin ha dovuto fare i conti con una frattura nella sua coalizione che, con tutta probabilità, non è solo tattica. E’ vero, anche il braccio di ferro tra falchi e colombe non fa che rimettere al centro Frau Merkel, regina dello zigzag, ed è anche vero che non ci sarà mai una crisi di governo sulla Grecia (nessun tedesco ci pensa minimamente nemmeno quelli di estrema sinistra), ma può essere la spia di un malessere domestico. La sconfitta della Cdu ad Amburgo lo dimostra, così come, dal lato opposto, la sollevazione anti-immigrati a Dresda.

Dunque, la Merkel ci ha provato, però la Germania non è il perno dell’Europa, per ragioni storiche, per certi suoi comportamenti attuali e perché non viene riconosciuta come tale. La dimostrazione più evidente è che entrambe le mediazioni sono state possibili grazie agli Stati Uniti.

Putin vuole trattare direttamente con Obama, infatti ha telefonato al presidente americano, non gli sono bastate le parole della Merkel e di Hollande. Quanto alla Grecia, la svolta c’è stata dopo la lavata di capo del segretario di Stato al Tesoro americano Jack Lew. “Non fate gli scemi – ha detto in sostanza a Varoufakis – se tirate troppo la corda finite nella merda e non sperate che noi possiamo tirarvene fuori. Siamo disposti a sostenervi e fare pressione sulla Germania ancor più di quel che abbiamo fatto finora, ma non agiremo mai per favorire la rottura dell’Unione europea. Quanto ai giri di valzer con Putin, accomodatevi e vedrete che cosa vi succede”. Abbiamo tradotto liberamente, ma siamo convinti di aver bene interpretato l’American english.

Dunque, senza zio Sam non va avanti nulla. L’Unione europea è divisa al suo interno e paralizzata ai suoi confini che non sa difendere né a est né a sud. Meglio rimettere nel cassetto il sogno gaullista della terza forza. L’Europa può essere un soggetto politico e non solo un rassemblement di Stati e staterelli, solo in stretto rapporto di alleanza con gli Stati Uniti i quali tengono alla Grecia, così come all’Italia, per il ruolo che svolgono sul fianco sud dell’asse atlantico. Una doccia fredda all’insegna della realpolitik?

Un paradigma neoimperiale? Forse, eppure dentro questa cornice il Vecchio Continente può fare molto, fuori ci sono i leoni.

Stefano Cingolani


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