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Islam e terrorismo, che cosa si è detto alla conferenza di Mecca

Obama non è il solo alle prese con l’enorme grattacapo: come contrastare l’Isis. All’inizio di questa settimana la Muslim World League, un’associazione saudita che riunisce le ONG islamiche, ha organizzato una tre giorni di conferenze presso Mecca su “Islam e antiterrorismo”. La convention, patrocinata dal nuovo re dell’Arabia Saudita, Salman bin Abdulaziz e introdotta dal grande imam dell’università sunnita più prestigiosa, Sheikh Ahmed al-Tayeb, ha cercato di affrontare varie tematiche tra cui la natura del terrorismo, il suo rapporto con l’Islam e ciò che la comunità musulmana può fare per evitare che i suoi membri si radicalizzino.

ISIS, ISLAM E TERRORISMO: LA VERSIONE AMERICANA

Durante il summit, è emersa una visione differente rispetto alla “narrativa” americana, per quel che riguarda l’origine dello Stato Islamico e i metodi per contrastarlo. Obama è stato criticato per aver fatto una netta distinzione tra l’Isis, altri gruppi di matrice fondamentalista e l’Islam. Il suo intento, infatti, è combattere la crescente islamofobia che interessa molte parti del mondo, rassicurare i musulmani sul fatto che gli Stati Uniti non sono in guerra contro l’Islam, e chiarire che si sta combattendo contro un’organizzazione terroristica barbara che cerca la sua legittimità attraverso la religione islamica. Tutti concetti che il presidente Usa ha ribadito all’inizio di questo mese, durante il vertice organizzato dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato su come contrastare l’estremismo violento, il CVE. 

I DUBBI SOLLEVATI DALLA MUSLIM WORLD LEAGUE

Ma dal vertice a Mecca è emersa una interpretazione diversa. Sheikh Ahmed al-Tayeb ha spiegato che se è vero che «la violenza e il terrorismo dei gruppi terroristici sono estranei all’Islam, nel senso che non hanno nulla a che fare con il nostro credo, la nostra etica, la nostra storia e la nostra civiltà» deve far riflettere il fatto che «il terrorismo è associato a nessuna altra religione che non sia l’Islam». «Se un musulmano commette un atto terroristico, è indissolubilmente legato all’Islam», spiegano i partecipanti alla convention, citando un rapporto del Saudi Gazette, «ma se lo stesso atto viene commesso da un cristiano, da un ebreo, da un induista o buddhista, raramente si rintraccia il seme del peccato nella religione».

«IL TERRORISMO È RELIGIOSAMENTE MOTIVATO»

A più riprese, gli speaker hanno affermato che l’Isis non può essere dissociato dall’Islam. Dopo aver rintracciato nella povertà, nell’emarginazione sociale, e nella carcerazione le cause principali di radicalizzazione, al-Tayeb ha spiegato che a suo parere «la più importante fonte di radicalizzazione tra i musulmani è l’estremismo e la tendenza alla militanza che fanno parte del nostro patrimonio». Abdullah bin al-Turki Abdelmohsin, segretario generale della Muslim World League, è stato ancora più schietto a tal proposito: «Il terrorismo che abbiamo di fronte oggi è religiosamente motivato. È il frutto dell’estremismo e nasce da un’idea distorta della Sharia». Il re Salman durante la conferenza ha dichiarato esplicitamente che «i nostri figli sono i responsabili della violenza estremista».

DUE VISIONI CONTRASTANTI DELLO STESSO PROBLEMA

Secondo Will McCants, direttore del “Project on U.S. Relations with the Islamic World” al Brookings Institution, c’è una logica dietro queste due visioni – quella di Mecca e quella di Washington – così contrastanti. «Negli Stati Uniti e nell’Occidente, in generale, questo tipo di discorsi non si potrebbero fare perché l’amministrazione Obama persegue l’obiettivo di non dipingere quella in corso come una guerra di religione» spiega. «Mentre i leader musulmani si sentono molto più a loro agio nel parlare apertamente di un problema che affligge la propria comunità».

GLI OBIETTIVI DI MUSLISM WORLD LEAGUE E CVE

Inoltre, le priorità del CVE e della Muslim World League sono nettamente distinte. La convention di Mecca ha avuto come motore d’azione la convinzione del governo saudita che il terrorismo islamico rappresenti non solo una minaccia per la sicurezza del territorio e dei civili, ma anche un pericolo per l’Islam stesso. Sarebbe stato impossibile, perciò, non tirare in ballo le radici islamiche dell’Isis. Proprio in virtù del fatto che gli organizzatori della conferenza vogliono portare avanti una campagna coordinata per promuovere una visione moderata e pacifica dell’Islam, che rinnega la violenza e l’apostasia dell’Isis.

Il vertice CVE era, invece, più interessato ad approfondire le ragioni della radicalizzazione in tutte le sue forme, e a sottolineare le condizioni economiche e sociali che rappresentano terreno fertile per l’estremismo. L’agenda del summit contemplava anche un focus sulla situazione interna, e questo nonostante gli Stati Uniti siano agli ultimi posti nella lista dei paesi che “forniscono” combattenti stranieri a gruppi jihadisti in Siria e in Iraq.

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