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La cornucopia della Fed arricchisce il Tesoro Usa

Chi dovesse aver dimenticato il senso e l’utilità pratica del Grande Accordo Monetario fra stato e banchieri che ha dato origine più di 300 anni fa alla prima banca centrale, in Inghilterra, dovrebbe leggere l’ultima comunicazione della Fed dove si dà conto del notevole profitto che la banca centrale americana ha trasferito al Tesoro Usa alla fine dell’anno appena trascorso.

Parliamo di quasi 100 miliardi di dollari, per la precisione 98,7, che la Fed ha guadagnato grazie ai rendimenti dei suoi acquisti di bond decisi nell’ambito del Quantitative easing di questi anni e che dal mese di ottobre scorso sono cessati.

Senonché nel frattempo hanno notevolmente ampliato il bilancio della Fed, pressoché quintuplicato dal 2008 a oggi. Con la conseguenza che sono schizzati in alto i profitti dell’istituto.

Anche qui, qualche dato aiuterà a capire. Nel 2005 i profitti della Fed trasferiti al Tesoro superavano di poco i 20 miliardi. La prima impennata, di oltre il 50% fino poi a raddoppiare, arriva fra il 2008 e il 2009, ossia in corrispondenza del primo QE. I profitti arrivano prima a 31,7 miliardi, nel 2008, e poi a 47,4, nel 2009.

Ma è solo l’inizio della lunga marcia della Fed, che evidentemente è l’unica istituzione finanziaria che dalla crisi ha avuto solo benefici.

Nel 2010 i profitti arrivano nuovamente quasi a raddoppiare, passando a 79,3 miliardi, collocandosi a un livello che rimane stabile, con tendenza alla crescita, anche negli anni successivi, fino al record da 98,7 miliardi trasferiti del 2014.

Complessivamente, la Fed fra il 2008 e il 2014 ha trasferito al Tesoro 500,5 miliardi di dollari che se non hanno certo risolto i problemi di bilancio del Tesoro, di sicuro hanno comportato un certo sollievo alla contabilità pubblica americana. Evidentemente avere a disposizione una cornucopia come la Fed portà con sé, oltre ai noti benefici sui tassi di interessi e sulla sostenibilità del deficit, una delizioso effetto collaterale sotto forma di dividendo.

Peraltro la Fed si è anche mostrata un ottimo investitore. Il profitto netto del 2014, infatti, è superiore ai 98,7 miliardi, collocandosi a 101,5 miliardi, a fronte di ricavi derivanti da interessi su titoli per ben 115,9 miliardi di dollari.

I più sofisticati noteranno il simpatico corto circuito grazie al quale il governo, coi soldi dei contribuenti, paga alla Fed gli interessi sui titoli pubblici che la Fed a sua volta ha comprato con la sua fiat money, salvo poi restituire al governo gran parte dei suoi guadagni. Una perfetta situazione win win, che spiega meglio di ogni altro ragionamento perché le banche centrali siano state inventate, e la loro autentica natura di entità pubbliche.

Unire la potenza della moneta sovrana all’efficacia delle tecniche bancarie, creando l’ircocervo delle banche centrali, è stata, da questo punto di vista, l’innovazione più rilevante nella storia della finanza, anche se ormai questa invenzione comincia a mostrare l’usura del tempo.

Ai più curiosi ricordo che nelle sue operazioni di QE la Fed ha comprato Treasury securities, federal agency and government-sponsored enterprise (GSE) mortgage-backed securities (MBS), and GSE debt securities. E sottolineo che per i suoi servigi la Fed ha incassato dal Tesoro 3,6 miliardi di dollari, più altre svariate centinaia di milioni per spese operative. Quindi anche i banchieri ne hanno tratto evidenti benefici.

Al contempo, la Fed ha subito costi per 6,9 miliardi associati alla remunerazione delle riserve e dei depositi degli istituti aderenti al circuito e perdite per 2,9 miliardi per la rivalutazione di asset in valuta straniera al tasso di cambio calcolato alla fine del periodo. I dividendi totali per i soci della Fed sono stati di 1,7 miliardi.

Adesso la questione che bisognerà decidere è cosa fare dell’enorme quantità di titoli accumulati in bilancio una volta che i tassi torneranno a salire, presumibilmente dalla metà di quest’anno.

State pur certi, tuttavia, che i banchieri americani hanno capito con chiarezza che non esistono problemi. Ma solo opportunità.



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