La politica finisce o quando non ci sono più attori pubblici in grado di farla funzionare o quando la coscienza del cittadino è ridotta al lumicino o quando si verificano entrambe le condizioni.
Nell’era del direttorio guidato da Renzi – un regime post-politico -, abbiamo un combinato disposto che sintetizza tutte le crisi strutturali che questo Paese ha vissuto e sofferto, elevando gli effetti collaterali a macchina istituzionale.
Sembra molto difficile, il concetto, invece non lo è, anche perché la realtà è davanti agli occhi di tutti coloro che vogliano guardarla in faccia. La prima realtà da guardare in faccia è rappresentata dall’immagine che metto in evidenza: la spirale del declino, checché ne pensino i nuovi gerenti della Repubblica Italiana, chiamati a raccolta da Renzi, vale a dire la UE nei suoi vari gangli commissariali, con aggiunta della Merkel, a fare da ispettrice capo delle operazioni. Renzi per sopravvivere politicamente si è consegnato ai suoi e nostri sicari.
Primo: Renzi assume a priori che l’Italia abbia bisogno di alcune riforme – dalla Costituzione fino alla scuola – e mette in moto un dinamismo interno al Pd che non ha niente di politico ma che, per contro, cerca costantemente di strappare le redini in mano a una politica davvero povera e fragile, a dire il vero, interloquendo con chi ha il vero potere in Italia: se Marchionne ha affermato che Renzi abbia realizzato cose che in vent’anni nessuno era mai riuscito a fare, abbiamo il polso della situazione. Renzi gioca dentro la cornice che va dalla Confindustria, all’assetto forte di un capitalismo internazionale (dal fronte mediatico di Davos all’asset manageriale di Marchionne), i quali hanno un unico obiettivo, da tempo: chiudere quanto non si è ancora riusciti a fare dagli anni Novanta del secolo scorso. In altre parole: svendere tutto l’assetto industriale residuo in Italia, allearsi con le banche che contano e svuotare le istituzioni, a cominciare dal Parlamento, senza neanche dover affrontare la vera riforma politica, ossia il passaggio al presidenzialismo vero, perché non ce n’è bisogno, così si realizza di più, a rischi quasi azzerati. Efficientismo manageriale in mancanza di leadership carismatica: annientata la politica. E’ l’opposto della Grande Riforma craxiana, che avrebbe, invece, fatto progredire l’Italia sia sul piano istituzionale-costituzionale, sia su quello economico-sociale (stiamo parlando del 1978!).
Secondo: in questa cornice, infatti, il linguaggio e il giudizio di fondo sulla storia che va dall’11 novembre 2011 ad oggi sono usciti di scena: va tutto bene, madama la marchesa. Sono rimasti in pochi a sottolineare che Renzi non ha un solo voto, non è al governo perché gli italiani ce l’abbiano mandato e che una situazione come questa equivalga al commissariamento della democrazia. Lo dicono oggi Landini e Sansonetti, dunque, secondo la mentalità tribale corrente in Italia, chi la pensa come loro è di sinistra, invece io, che la penso così, di sinistra non sono. E’ semplicemente così, punto. Quest’assenza di giudizio pubblico di questa anomali la dice lunga non solo sull’ipocrisia italiota intorno a Berlusconi che rispetto a Renzi è un guardiano delle istituzioni, ma la dice lunga anche sulla degenerazione dell’intelligenza politica e della coscienza della realtà da parte di larga parte dei cittadini elettori che non solo continuano a pagare una montagna di tasse e patrimoniali sulla casa, ma vedono la spessa pubblica aumentare a gogò e tacciono. Alla fine, Renzi è il doge del regno del nulla e, nichilista com’è, ci sta bene in questa dimensione.
Terzo: mi diceva un amico fiorentino: “Se Renzi è quel che è, pensa come sono gli altri”. Giusto. Ma vediamola anche da questo punto di vista: se diventiamo tutti cinici così e mandiamo il cervello all’ammasso, facendo finta, magari per protervia culturale o per assenza di speranza, che lo status quo sia il meglio che l’Italia possa dare, nonostante le molteplici anomalie, la partita è davvero chiusa e a chiuderla non sarà soltanto Renzi, che si sta godendo il suo iter carrieristico dall’Arno al Tevere, senza passaggi intermedi, grazie a Napolitano, tanto per rinfrescare la memoria ai più, ma anche chi su Renzi vuole giocare la carta del tanto peggio, tanto meglio. In genere, c’è del residuo rozzamente marxista in tutto ciò, e anche questo ha sempre fatto gioco ai poteri che contano, quelli che applaudono il cavallo di Troia di turno, per poi godersi le vacanze al riparo dai miasmi nazionali. E’ un vecchio refrain che ci portiamo dietro dall’Unità in avanti. Forse per questo l’Unità, nei fatti, non c’è mai stata.
Invece, sovrano è chi decide sullo/nello stato d’eccezione, cioè della realtà carica di insopportabili anomalie. E sarebbe questo, tra parentesi, il ritorno della politica.