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Libia, che cosa deve fare l’Italia

Brano estratto dal report “Analisi delle possibili soluzioni alla crisi in Libia” del Centro Studi Internazionali

La nascita del Califfato costringe indubbiamente i Paesi europei a rivendere la propria strategia di politica estera e di difesa. La diplomazia italiana, in linea con la tendenza già emersa nel 2014, dovrebbe continuare il processo di creazione di un fronte unitario per la stabilizzazione della Libia. Negli ultimi mesi dello scorso anno, in occasione dei vertici NATO e G8 il governo aveva aperto un importante canale negoziale con il Regno Unito, per poi proseguire intensi colloqui con Egitto ed Emirati Arabi Uniti, due dei principali attori arabi impegnati nel contrasto alle milizie islamiche radicali libiche. Essendo la Libia, infatti, un teatro dove numerosi attori del palcoscenico mediorientale stanno sviluppando un proprio ruolo, la ricerca di una stabilizzazione passa anche attraverso un fitto dialogo con queste realtà. Il governo italiano ha dimostrato di comprendere a pieno queste dinamiche anche grazie alla propria posizione diplomatica. Le relazioni tra Roma e Abu Dhabi, ad esempio, sono cresciute di intensità negli ultimi anni e oggi gli Emirati Arabi rappresentano uno dei partner italiani più importanti dell’intera regione.

In più, l’attitudine del governo italiano nei confronti del nuovo corso egiziano, con il Premier Renzi che è stato uno dei primi leader europei a dare supporto al Presidente Sisi, rende agevole il dialogo anche con Il Cairo, sempre più esposto nella sua azione di influenza in Libia. Tutto questo alla luce del fatto che, grazie al suo ruolo nella diplomazia internazionale, l’Italia potrebbe avere la forza di coinvolgere in un eventuale processo diplomatico anche il Qatar, che in questo momento sta supportando con fermezza le realtà islamiste libiche, in contrasto alle forze laiche, che ricevono l’aiuto di Emirati ed Egitto. Il coinvolgimento di Doha nella ricerca di un compromesso per la stabilizzazione libica sembra in questo momento inevitabile per il ruolo svolto dalle autorità qatariote e per la necessità di trovare un compromesso, o almeno alcuni punti di contatto, tra tutti i protagonisti attuali della Libia. In questo contesto, il ruolo di negoziatore dell’Italia risulterebbe di fondamentale importanza con possibili effettive ricadute positive nel futuro.

Lo sviluppo di un’agenda comune dovrebbe essere perseguito anche attraverso un’opera di pressione e lobby all’interno delle Nazioni Unite, l’unica istituzione internazionale in grado di elargire la legittimità politica e giuridica necessaria per intraprendere un’azione più incisiva in Libia. In questo senso, il 2015 potrebbe essere l’anno in cui all’interno del Palazzo di Vetro si cominci a prendere in considerazione l’ipotesi di una missione umanitaria o di stabilizzazione. Tuttavia, occorre sottolineare i rischi operativi di una simile evenienza. Infatti, le milizie di Derna, pesantemente armate grazie ai canali del mercato nero e al saccheggio degli arsenali gheddafiani, sono pronte ad affrontare l’arrivo di un dispositivo militare convenzionale, rispetto al quale potrebbero essere in grado di massimizzare le loro tecniche asimmetriche (attentati, esplosivi improvvisati, guerriglia, imboscate). Dunque, qualsiasi ipotetico impegno militare dovrà necessariamente mettere in conto possibili pesanti costi umani, economici e politici.

Clicca qui per leggere il rapporto completo sul sito del Cesi

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