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Luce e gas: come migliorare la concorrenza?

L’11 febbraio si è svolto, nella Sala della Regina presso la Camera dei Deputati, il convegno dal titolo “Distribuzione e vendita, due ruoli decisivi per il lieto fine del mercato elettrico italiano”, promosso dall’I-Com (Istituto per la competitività) e dall’AIGET (Associazione italiana grossisti di energia e trader).

L’AIGET è l’associazione di categoria che riunisce in sostanza tutti gli operatori di mercato diversi dalle società già statali o comunali, come per esempio Edison, Green Network, Axpo, E.On e così via. Si occupa di favorire la concorrenza nei mercati energetici, realizzare studi, rappresentare gli associati presso le principali sedi di discussione, promuovere iniziative legislative ed intraprendere e coordinare azioni innanzi agli organi della giustizia nazionale e comunitaria.

L’I-Com, invece, è un istituto di ricerca attivo ormai da dieci anni, che si dedica ad analizzare i settori chiave dell’economia italiana con il fine di formulare analisi e proposte su come migliorare il contributo di questi settori alla crescita economica del Paese.

Gli studi dell’I-Com, esposti dal presidente Stefano Da Empoli, mettono in luce alcuni fatti interessanti e di non immediata interpretazione:

Dal 2000 al 2013 assistiamo contemporaneamente all’aumento del numero di società venditrici di energia elettrica (da 27 a 272), ed alla diminuzione del numero di società distributrici (da 194 a 138).

La situazione sul mercato della vendita non vede concentrazioni superiori al 20% né nel settore dell’elettricità né del gas, anche se vi rimangono dominanti le partecipate statali; lo stesso si può dire del mercato della distribuzione del gas, dove la quota di SNAM si attesta sullo stesso valore; vediamo però che il 90% del mercato della distribuzione di elettricità (espresso in GWh) è sempre rimasto in mano ad un unica società, cioè ENEL Distribuzione.

Se guardiamo alla situazione degli altri principali Paesi europei, notiamo come l’Italia, rispetto alla Germania, abbia circa un quinto del numero di operatori sui mercati della distribuzione di energia elettrica e gas; c’è da dire, tuttavia, che la situazione appare molto migliore che nel resto dei Paesi europei.

La composizione della bolletta elettrica per cliente domestico tipo vede un aumento delle componenti imposte ed oneri generali di sistema a scapito dei costi di rete e dei costi di approvvigionamento e vendita, che dal 60% sono passati a meno della metà fra il 2000 ed il 2013; se poi analizziamo a loro volta i costi di rete notiamo un forte aumento dei costi di trasmissione a scapito dei costi di distribuzione.

Si delinea, dunque, un quadro in cui un grande numero di venditori con quote di mercato esigue deve confrontarsi con un mercato della distribuzione dominato da un solo operatore; inoltre, come vedremo, più della metà delle somme che i venditori riscuotono, compete ad altri operatori oppure allo Stato. Su queste somme, i venditori agiscono da incaricati alla riscossione a titolo gratuito, dovendo inoltre prestare opportune garanzie – a titolo oneroso – ai sensi di una delibera dell’AEEGSI che al momento è oggetto di ricorso da parte dell’AIGET.

Gestione del rischio e morosità

Si crea una combinazione fatale se a questa situazione aggiungiamo il problema della morosità dei clienti finali: infatti, il venditore si trova di base in una situazione in cui deve anticipare agli operatori del resto della filiera (distributori, Stato e così via) le somme di loro competenza prima di riscuoterle dai propri clienti, cioè sostiene i costi – altrui, oltre ai propri – prima di avere i relativi ricavi.

Come sappiamo, infatti, la bolletta/fattura si paga ogni due mesi, quindi se io, venditore, fornisco energia al cliente per il mese di gennaio, intanto l’ho comprata e gliel’ho fornita e devo aspettare i primi di marzo per emettere fattura, dando al cliente un mese per pagarla. Se il cliente è puntuale, mi paga gennaio entro i primi di aprile, mentre se non è puntuale… non si sa. Nel frattempo, già da febbraio devo pagare al distributore, allo Stato ecc. le somme di loro competenza per il mese di gennaio, che come abbiamo visto superano il 50% della bolletta, che il cliente alla fine mi paghi o no.

Aggiungiamo inoltre che sul 51% che devo anticipare, devo prestare per i due mesi successivi una garanzia in forma di fideiussione o simili, cioè un servizio fornito da società terze (banche, assicurazioni o società madre) che deve quindi essere remunerato. Poiché nella somma da garantire rientrano anche le accise e l’IVA, ogni volta che aumentano le tasse aumentano i costi della fideiussione.

E poiché siamo in un periodo di restrizione creditizia (per i non addetti, significa che le banche non prestano soldi perché temono che non saranno restituiti), per cui le società che dovrebbero fornire le fideiussioni ai creditori, o non le forniscono oppure chiedono compensi molto alti per il servizio.

Questo perché? Perché trovandoci in una situazione di crisi, questa investe anche il mercato elettrico: negli ultimi anni il numero delle morosità e dei ritardati pagamenti è cresciuto molto nel settore delle piccole e medie imprese… ma soprattutto nelle amministrazioni pubbliche!

Dulcis in fundo, se il venditore ha un cliente moroso, l’ultima possibilità per avere il pagamento del dovuto è il distacco. Gli stacco la luce finché non paga. Qui sta il problema, poiché il distacco, come tutto ciò che riguarda le forniture “fisiche” di elettricità e gas, compete alla società di distribuzione, che anzitutto ha i suoi tempi e le sue logiche interne di razionalizzazione degli interventi, per cui tenderà a programmarli in modo da sfruttare al meglio il lavoro dei tecnici già presenti nelle zone di intervento in quel periodo (specie per il gas, poiché il contatore della luce è comandato a distanza); inoltre, addebiterà al venditore il costo dell’intervento. E non è affatto certo che il distacco vada a buon fine, poiché il tecnico potrebbe non avere accesso al contatore. Magari il cliente moroso non lo fa entrare o non si fa trovare, nel qual caso tentare di entrare nell’edificio sarebbe una violazione di proprietà. Figuriamoci se il moroso è un’amministrazione pubblica.

Cioè se io venditore ho un cliente moroso e decido di distaccarlo, anzitutto devo pagare il costo del distacco, quindi aspettare i tempi tecnici del distributore (durante i quali dovrò continuare a fornire energia e/o gas, che verosimilmente non mi saranno pagati, sui quali anticiperò il consueto 51% che non è di mia competenza) per un’operazione che il 50% delle volte non riesce!

Come fare? Le proposte dell’AIGET sono varie ed investono sia i singoli soggetti sia il sistema nel suo complesso. Appaiono nel loro complesso ragionevoli sia a livello di singolo operatore sia a livello sistemico.

Anzitutto si propone di ridurre la quota di oneri che i venditori devono garantire con fideiussione, lasciando fuori le voci parafiscali come gli oneri di sistema. Si propone inoltre di aumentare i tempi di pagamento per oneri di rete, sistema, imposte ecc., riducendo inoltre i mesi da garantire da due a un mese solo per i venditori in regola con questi pagamenti.

Quanto alla morosità, bisogna qui distinguere fra la morosità dettata da reale incapacità di far fronte ai pagamenti, situazione in cui si trovano sempre più famiglie, e la morosità fraudolenta, dettata invece dall’intenzione di non pagare quanto dovuto.

Nel primo caso bisognerà allora tener presente che ad oggi solo un terzo degli aventi diritto usufruisce del bonus sociale, quindi fare in modo che questo ammortizzatore sia portato più a conoscenza delle famiglie.

Nel secondo caso invece, per combattere le frodi ai danni dei venditori, bisognerà potenziare i sistemi attuali come il blocco dello switching (cioè l’impossibilità di cambiare fornitore finché non si è pagato quanto dovuto al fornitore precedente, evitando quindi che si salti da un fornitore all’altro) e la condivisione delle informazioni fra le società, anche non dello stesso gruppo, in modo da creare un sistema informativo integrato con una black list ed una white list in cui segnare rispettivamente i cattivi e i buoni pagatori. Si potrebbe allora aumentare il deposito cauzionale ai primi e ridurlo agli altri, e soprattutto rimuovere dalle bollette i costi che servono ad ammortizzare il rischio di morosità, tipico caso di selezione avversa, specie se ricordiamo che come detto il 70% dei morosi sono amministrazioni pubbliche (vedi qui).

Brand Unbundling

Veniamo ora al brand unbundling, che a mio parere rappresenta un po’ il punto debole di tutta la discussione. Qual è il problema? In Italia sono stati adottati già da tempo provvedimenti per dotare di marchi diversi le società appartenenti allo stesso gruppo ma operanti in rami diversi del mercato. Per fare un esempio lampante, ENEL Servizio Elettrico (mercato tutelato) ENEL Energia (mercato libero) ed ENEL Distribuzione dovrebbero avere marchi ed anche nomi completamente diversi, in modo da non ingenerare nel consumatore l’idea che si tratti della stessa società. Così anche ACEA ecc. Al momento, come vediamo, questa prescrizione non è stata rispettata.

Ovviamente questo dovrebbe essere accompagnato da comunicazioni e rapporti fra imprese non discriminanti, per cui i distributori dovrebbero fornire informazioni come per esempio lo storico dei distacchi a qualunque società di vendita ne faccia richiesta, non privilegiare nelle attività di routine le pratiche relative ad altre società del gruppo e così via. Fin qui ci possiamo stare.

Si giunge tuttavia a richiedere che, in vista della scomparsa del mercato tutelato prevista per l’anno prossimo, le tradizionali società che operano in questo mercato (e sappiamo benissimo quali sono) cambino nome e marchio in modo – si sostiene – di favorire la concorrenza nel momento in cui rimarrà solo il mercato libero. Qui le note dolenti sono molteplici:

si chiede una legge che imponga ad alcune società di abbandonare il marchio, cioè perdere valore e far perdere valore all’intero gruppo di cui fanno parte, in cambio di nulla;

si pensa che nella testa della gente il fatto che distributore e venditore siano dello stesso gruppo societario abbia tutta questa importanza.

In buona sostanza, mancava poco che si chiedesse una legge che stabilisse il diritto naturale ad avere clienti e per giunta solo buoni pagatori. Per esperienza, posso dire che le persone sono molto meno propense a mantenere il fornitore tradizionale di quanto si pensi. Le preoccupazioni sono altre, date dalla paura di finire nelle mani di un’azienda non efficiente, che magari dietro la promessa di far risparmiare un 10% in bolletta riservi la sorpresa di conguagli stellari a fine anno, distacchi non legittimi, bollette che arrivano già scadute con conseguente messa in mora ed iscrizione al registro dei cattivi pagatori e via dicendo. Per non parlare di quello che succede nelle agenzie, che spesso fuori controllo e vincolate solo al risultato inventano modi di acquisizione dei clienti fantasiosi quando non fraudolenti. In una situazione del genere, chi sceglie di rimanere con il vecchio fornitore statale (perché di questo si parla) lo fa senz’altro per stare tranquillo e non per il prezzo.

Sta allora a qualunque azienda che voglia approcciarsi seriamente al settore, quindi nell’ottica di dare anzitutto un servizio di alta qualità, creando reputazione e fiducia, e non con il mero intento di accaparrarsi clienti, sta a queste aziende creare un sistema efficace di gestione delle necessità dei propri clienti, una formulazione commerciale efficace, una rete vendita preparata ed attenta alle esigenze dei propri clienti, e quando la gente inizierà a vedere la differenza i clienti arriveranno.


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