La maiuscola è d’obbligo: la Sinistra. Perché il Caro Estinto, anzi la Cara Estinta, se la merita proprio.
Matteo Renzi è il frutto di un processo di autodemolizione della sinistra, che affonda le radici nei devastanti primi anni ’90 del secolo scorso, quando le procure cominciarono ad assaporare la bellezza estetica della lama d’acciaio rivoluzionaria, così tanto bramata nei congressi di Magistratura Democratica degli anni ’70: la legge al servizio della rivoluzione. Chi vince, prende tutto, come nella canzone degli Abba. E così, da bravi rivoluzionari di professione, i giudici hanno visto bene di fare una accurata selezione delle vittime, prestando una zelante attenzione a socialisti e democristiani e una appena accennata occhiata ai postcomunisti, appena usciti dalle pene congressuali e di ridefinizione ideologica del proprio passato in vista del futuro. Le procure hanno visto bene di consegnare loro il futuro in punta di sentenze, contro i loro avversari storici, socialisti, i vecchi socialfascisti, e i democristiani, massacrati, salvo quelli di maggior appeal e interesse per i succitati postcomunisti, vale a dire i cattolici “democratici” e i catto-comunisti. Una confezione regalo niente male che ha però intossicato il mondo dei “rossi” di una volta. Perché?
Semplicemente perché occupare tutto lo spazio politico nel vuoto e tra le macerie di un sistema politico è del tutto impossibile e, alla fine, i guardiani del nuovo regime diventano i nuovi accusati e i perdenti di turno. Così è stato.
A poco a poco lo schema di rinascita laica e riformista della sinistra, sulle macerie e sul sangue di Craxi, si è trasformato in un ritornello propagandistico vuoto di contenuti e gli assetti territoriali e politico-amministrativi dei filoni post-comunisti emersi ad ogni stagione – Pds, Ds, Ulivo, Pd – hanno dovuto confrontarsi col politico postmoderno più oltranzista e “pop” sulla scena europea: Silvio Berlusconi.
Fu un filosofo di rango, di pura razza marxista italiana, dell’antica “Ecole Barisienne”, insieme a Giuseppe Vacca, direttore dell’Istituto Gramsci, Biagio De Giovanni, a scrivere su “Liberal”, dopo la vittoria di Berlusconi nel 2001, che l’uomo di Arcore disponesse di autentica “cultura politica”, contrariamente alla sinistra che fu, orfana ormai di tutto e tutti. De Giovanni si rifece a Gramsci e all’egemonia come capacità di coagulare consensi attraverso un’idea di stato e di società. Tradotto: una cultura politica. La sinistra non prese atto, rimasticò antiberlusconismo becero e violento per vent’anni finché non si trovò di fronte l’ultima Berlusconeide in cui, però, si decidevano le sorti della sovranità dello stato e della stessa identità nazionale. Cosa fece la sinistra, nel novembre del 2011? Ciò che Amendola non avrebbe mai fatto: delegò Napolitano a macellare Berlusconi, facendo trangugiare all’Italia esattamente quella detronizzazione della politica, passata in mano ai “tecnici”, in quel caso Monti, divenuto senatore a vita, ancor prima delle dimissioni illegittime, sul piano costituzionale, del leader del centrodestra e Presidente del Consiglio. Fine della politica. Ossia, il grande tema su cui teste pensanti degne di nota come – una per tutte – Mario Tronti si erano affaticate, la legittimazione della politica ovvero, nella malaugurata ipotesi di una sua crisi strutturale, il “tramonto” della stessa, diventava agenda setting, come si dice in gergo giornalistico, ossia veniva derubricato a dato di fatto col quale iniziare la giornata di ancillare lavoro. Utili idioti dei tecnici, servi sciocchi dei travet dell’eurocrazia dominante, nichilisti all’ultimo stadio, quello delirante: ecco i campioni postmoderni della sinistra.
Da dove viene Renzi, ultimo tra i premier non eletti dal popolo? Da questo harakiri della sinistra che fu. Tutto qua.
Le cose si capiscono per genus proximum et differentiam specificam, dicevano gli Scolastici, cioè per quanto sono simili tra di loro e quanto si differenziano. Ebbene, quant’è simile Renzi al portato storico-politico sommariamente abbozzato? Abbastanza da far eleggere oggi Mattarella, cattolico “democratico”, figlio politico di Moro e secolarizzatore del comunismo assunto come taxi per sfondare il muro del suono del consenso elettorale. Abbastanza anche per riprendere, in forma alquanto volgarizzata, questa forma degenere di cattolicesimo politico, i cattolici di sinistra, più pericolosi dei comunisti, come noi craxiani abbiamo sempre saputo, e più servi dei poteri forti delle gerarchie politiche fasciste di fronte agli industriali italiani del Ventennio. Le privatizzazioni che hanno svenduto l’Italia e lo svuotamento delle casse degli italiani nottetempo ne sono l’oggettiva e inconfutabile riprova.
Berlusconi è rimasto stritolato in questo meccanismo diabolico e molto, molto italiota, e oggi Renzi può arrogarsi di averlo sdoganato in qualche modo e con le testerenzi, libertas, immagini
dei vecchi comunisti sul piatto. Ebbene, di questa vittoria storica Renzi non farà mai un progetto politico. E’ inutile fare analisi di sorta, basterà soltanto attendere la Pasqua prossima ventura. Un pò di pazienza e vedrete.
Conclusione: chi è causa del suo mal, pianga se stesso. E chi crede di aver vinto stia attento a non dover fare come i famosi sei personaggi in cerca d’autore di pirandelliana memoria.
Perché il nichilismo, anche se gaio, conduce sempre a una sola conseguenza: la “ruina” delle repubbliche. Copyright del Segretario Fiorentino, che non ha colpa per essere nato nella stessa Firenze che da tempo non rimpiange il Parolaio Fiorentino.