Una seria politica industriale, che sia all’altezza del Paese, fatta di regole certe, riforme utili e investimenti pubblici in infrastrutture. Come le reti, per esempio. Solo così l’Italia può tornare ad attrarre capitali, anche dall’estero, incentivare l’innovazione e, dunque, ricominciare finalmente a crescere. È quello che chiedono al governo Renzi le società che erogano servizi pubblici vincitrici del concorso Top utility, premiate ieri a un convegno presso la Camera di commercio di Milano, dove la società di consulenza Althesys, che l’ha promosso, ne ha illustrato contenuti e risultati.
POLITICHE INDUSTRIALI ALL’ALTEZZA
Servono “politiche industriali all’altezza del Paese” e “regole certe per incentivare l’innovazione”, ha detto il presidente di Acque Spa, la società pubblica che gestisce il servizio idrico integrato del Basso Valdarno, che ha ricevuto il primo premio come miglior azienda in assoluto nei servizi pubblici locali. Così anche il Gruppo Hera di Bologna, premiato per la sostenibilità, ha chiesto “maggiore stabilità normativa”, il che equivarrebbe, quasi automaticamente, a “maggiore stabilità negli investimenti” da parte di public utility e municipalizzate o ex municipalizzate. Mentre l’ad di A2a, che ha vinto il premio per l’innovazione tecnologica, ha chiesto “investimenti in infrastrutture, ambiente e maggiore chiarezza normativa”; perché “è solo così che anche noi possiamo tornare a investire”.
GLI INVESTIMENTI NECESSARI
In effetti, un dato che ha destato l’attenzione della platea – per lo più figure apicali e dipendenti di società che erogano servizi pubblici, come l’acqua, l’energia e la gestione rifiuti, ma anche multiutility e società del trasporto pubblico locale – è stato quello sugli investimenti da parte delle Top 100 utility, ovvero il campione preso in considerazione nello studio e per le premiazioni. Quasi 5,7 miliardi di euro nel 2013, in aumento del 6,8% sul 2012; forse ancora troppo pochi, se si considera che la quota rappresenta meno del 5% sui ricavi e lo 0,35% dell’intero Pil nazionale. In particolare, gli investimenti sono calati nel comparto dei servizi idrici, oltre che in quello della raccolta rifiuti. “Perché si è investito molto in passato”, ha spiegato Alessandro Marangoni di Althesys, mentre oggi ci troviamo di fronte a “percentuali ancora troppo basse”.
A QUANDO LE LIBERALIZZAZIONI?
Vero è, come ha fatto notare Gabriella Muscolo, componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), che le società che erogano servizi pubblici vanno spesso incontro all’ostacolo di una “bassa remuneratività”, dovuta proprio all’“obbligo” di dover offrire un servizio pubblico a tutti gli effetti. Con il rischio, talvolta, di veder pregiudicati, non solo gli investimenti, ma i ricavi. A meno di pesanti interventi pubblici. Ciò non toglie, tuttavia, che una simile situazione possa essere superata nella prospettiva di “vere liberalizzazioni” e non “mere privatizzazioni”, che, invece, lascerebbero il problema della scarsa reddititività intatto.
NO A CHI VIVE DI RENDITA SENZA INVESTIRE
Il punto, come spiega il presidente di Federutility Giovanni Valotti a Formiche.net a margine dell’evento, è aprire il mercato e, in questo senso, non conta che un’azienda sia pubblica o privata: “Bisogna, piuttosto, evitare che si creino posizioni di rendita che scoraggiano l’innovazione”, chiarisce. Che è un po’ diverso sia dalle temutissime liberalizzazioni selvagge sia dallo slogan con cui il premier Renzi ha affrontato l’argomento municipalizzate a settembre dell’anno scorso, quando aveva annunciato: “Ottomila sono troppe, le ridurremo a mille”. Perché se da un lato è vero, come aveva spiegato il premier, che “ci sono municipalizzate che sono solo un parcheggio per esperienze politiche che non funzionano”; dall’altro, è innegabile, ha fatto notare Valotti, che “i costi di queste poltrone sono infinitamente minori che non quelli della non politica”, ovvero della perdurante assenza di politiche industriali.
LE DIMENSIONI CONTANO, MA NON SONO TUTTO
Più voci hanno auspicato la crescita dimensionale delle municipalizzate, anche attraverso fusioni; ieri, per esempio, l’amministratore delegato del Fondo strategico italiano (Fsi) Maurizio Tamagnini, ha parlato della sua “ossessione per la dimensione”, che è importante per “finanziarsi attraverso canali alternativi alle banche del territorio”, “creare sinergie” e “fare investimenti”. A patto, però, ha precisato Valotti, che ciò avvenga nel quadro di un vero e proprio “disegno industriale”, nel “rispetto dell’identità e della storia di un territorio”, ma soprattutto “nell’interesse di tutti”.