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Così l’Arabia Saudita punta anche sulle fonti rinnovabili

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Dopo l’insediamento in Arabia Saudita del nuovo Re, King Salman, è stato confermato il potente Ministro del Petrolio Al Naimi, che è anche presidente del fondo di gestione del KAPSARC–King Abdullah Petroleoum Studies and Research Center, a Riyhad, il prestigioso Centro di Ricerca Economica finanziato dall’ARAMCO, che riunisce studiosi da tutto il mondo per contribuire al think-thank sul futuro del Paese. E il KAPSARC è alimentato da quello che è, per ora, il più grande impianto fotovoltaico funzionante in Arabia Saudita (5 MW).

Le fonti rinnovabili sono un opzione strategica nel disegno futuro del gigante mondiale produttore di petrolio. Ecco la strategia. Il KACST–King Abdulaziz City for Science and Technology ha firmato un accordo con la AWTC-Advanced Water Technology Company per la progettazione e realizzazione, a Khafji, di un impianto di desalinizzazione con tecnologia avanzata ad osmosi inversa per produrre 60.000 metri cubi al giorno con tecnologia alimentata da un impianto fotovoltaico di 20 MW.

I progetti di fotovoltaico per la desalinizzazione in Arabia Saudita hanno un timing particolarmente significativo. Questo fa pensare che il nuovo Re abbia voluto dare un segnale di continuità con la strategia di sostituire il petrolio con le rinnovabili. È un’iniziativa per dimostrare la volontà di andare avanti, come lo scioglimento del potente Comitato supremo per l’economia (una specie di CIPE nostrano) o la nomina di nuovi Ministri per l’istruzione (Al Dakhil), la cultura (Al Toraifi) e le telecomunicazioni (Al Suwaiyel), tutti tre con Ph.D. presi a Londra e Los Angeles. Del resto il Ministro Al Suwaiyel era il presidente del KACST. L’impianto di desalinizzazione porterà il costo per metro cubo da 60 centesimi/1,4 euro a meno di 40 centesimi di euro.

Al di là degli annunci sugli obiettivi di riduzione assoluta dei costi e del loro realismo, la strategia di sostituire il petrolio con le rinnovabili fa parte di quella più ampia di assicurarsi la massima capacità di produzione per continuare a dominare il mercato del petrolio.

Per capire dov’è la convenienza per il gigante petrolifero ad investire nelle rinnovabili, bisogna valutare quale sia il costo opportunità del petrolio aggiuntivo che si verrebbe a liberare, in un Paese dove il consumo di energia pro capite ha raggiunto quello degli Stati Uniti. Ogni saudita consuma il doppio di un cittadino europeo, paga la benzina alla pompa circa 9 centesimi di euro al litro e usa l’elettricità in casa per il 70% per l’aria condizionata a, forse, 2 eurocent/Kwh.

Ciò significa che, a livello macroeconomico, in Arabia Saudita l’energia alle famiglie è fortemente sussidiata, chiaramente dai proventi della vendita all’estero di petrolio. I prezzi bassi non inducono certo il risparmio energetico, ma una riduzione dei sussidi non è politicamente e socialmente accettabile.

In realtà, se parte degli introiti da petrolio venisse usata per finanziare nuovi investimenti in fonti rinnovabili per produrre elettricità, la politica sociale di sussidio rimarrebbe sostanzialmente inalterata e le famiglie continuerebbero ad avere elettricità a buon mercato, anche se prodotta da rinnovabili invece che da petrolio. Le casse del Ministero dell’elettricità non se ne accorgerebbero, perché pagherebbero in più l’ammortamento degli investimenti in rinnovabili, ma consumerebbero meno petrolio e, quindi, pagherebbero meno petrolio per la generazione elettrica. Data la scarsa efficienza della generazione elettrica dei vecchi impianti sauditi (al 30%, rispetto ai nostri gioielli a ciclo combinato al 55%!), ciò sarebbe anche benefico per l’ambiente.

Ma il vero beneficio sarebbe per le casse del Regno della Arabia Saudita, Paese che potrebbe disporre del petrolio risparmiato dalla sostituzione con le rinnovabili. Per quale fine? Non certo per riempire qualche petroliera in più nell’immediato e spingere il prezzo al ribasso. Il fine ultimo è quello di controllare una capacità di produzione ancora più flessibile in termini di strategia geo-politica verso l’occidente, oppure mettere un turbo aggiuntivo alla politica di diversificazione verso la petrolchimica, oppure strozzare il prezzo in funzione anti-iraniana.

Insomma, la strategia saudita è di cambiare un semplice sussidio al consumo corrente in un sussidio all’investimento per il futuro dello sviluppo del Paese. E il costo opportunità del futuro del Regno dell’Arabia Saudita, dove circa il 50% della popolazione è minorenne, giustifica le rinnovabili per il futuro, forse più di quanto non pensi l’opinione pubblica della vecchia Europa.

Carlo Andrea Bollino
Professore Ordinario di Microeconomia all’Università di Perugia, presidente dell’AIEE Associazione Italiana Economisti dell’Energia

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