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Banche popolari, Bcc e fondazioni. Chi fomenta le bugie?

La domanda posta dal titolo è ormai fondamentale e non rinviabile per provare a capire le aree di responsabilità e dei modelli culturali che hanno contribuito a farci travolgere da uno “tsunami“ globale di immani e devastanti proporzioni sociali, morali e finanziarie dal quale non solo non sembra di uscire ma si ha la percezione sempre più evidente nei fatti che le ricette proposte non facciano che peggiorare i problemi a tutti i livelli nel mondo. La incapacità delle elites, a livello mondiale, di capire che siamo di fronte ad una crisi storica legata al fallimento di un modello socioculturale a partire dagli Usa, è ormai drammaticamente evidente, così invece di affrontare le sfide della storia con creatività, coraggio, cultura storica dell’animo umano e lucidità critica, insomma con il pensiero, si rimane ancorati a vecchi modelli da tempo passati sotto i ponti della storia. Keynes, grande scienziato sociale, sosteneva nella “Teoria Generale” che i cambiamenti erano bloccati non tanto dagli interessi costituiti quanto la resistenza vischiosa prodotta da abiti mentale desueti quanto radicati ed avrebbe concluso la sua opera dicendo “presto o tradi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose sia in  bene che in male. Così aumentano i conflitti, si esasperano gli animi e si alimenta una guerra tra società, terrorismo e ribellione vestite da guerre di religione ma forse più dalla fame, come indicato da Severino su Il Corriere della Sera, dalla classe e dagli errori commessi in questi ultimo 30 anni, dalla caduta del muro di Berlino.

CAPITALIZZARE IL TERRORE

Forse ha ragione Bauman (Modus vivendi, Laterza, 2008) che accusa la classe politica che per sopravvivere a sé stessa e priva di grandi idee e cerca la legittimità nello stato di paura da cui ci deve difendere: “Non dovrebbe essere troppo difficile rintracciare le ragioni della rapida e spettacolare carriera di questo inganno. In un periodo in cui tutte le grandi idee hanno perso credibilità, la paura di un nemico fantasma è tutto quello che è rimasto ai politici per conservare il potere” (Modus vivendi, pag.15). E prosegue: “La strategia di capitalizzare il terrore è una tradizione che risale ai primi anni dell’assalto neoliberista allo stato” (Modus vivendi, pag.17). Il problema di fondo è che quel modello socioculturale è stato ammantato di verità incontrovertibile da Nobel, macroeconomisti quantitativi legati a doppia mandata alla finanza americana, società di rating, emeriti accademici, società di consulenza, banche d’affari che hanno fatto credere verità inesistenti – l’economia come scienza esatta ed astratta dall’uomo quando la sua natura è di essere scienza sociale e morale -. Gli economisti quantitativi hanno rotto i ponti con la filosofia, con l’etica e morale, con la “Storia dell’uomo“, con la sociologia legata alla “societas” ed infine con la poltica intesa nel senso più nobile secondo Aristotele e non di una bassa negoziazione di “do ut des” senza fondamenti morali. Pensare che le ipotesi di base su cui erano proclamati tali dogmi sono state dichiarate dallo stesso Von Hayek, considerato capostipite di tale scuola, come un ‘attitudine non scientifica. La globalizzazione negativa, come la definisce Bauman, basata sul neoliberismo, ha scardinato le gerarchie sociali e politiche separando la ricchezza dagli stati e sovraordinandola agli stessi; la ricchezza e la finanza ad alta concentrazione finiscono per condizionare le scelte politiche ed a separarle dal potere.

POLITICA INTERNA E POLITICA ESTERA

In questo modo si esercitano pressioni per riforme più utili ad interessi privati e la giustizia diventa favorevole ai più forti ma in questo modo la negazione della giustizia diventa la negazione della pace. La “società aperta” diventa aggredibile e viene  esposta alla “rapacità di forze che non controlla e che non spera o non intende più riconquistare e sottomettere“  (Bauman, pag. 26). Il neoliberismo invocato come superamento degli assolutismi è diventato esso stesso un assolutismo, inoltre, in un mondo globalizzato in questo modo non esistono problemi locali che non siano influenzati da fattori esterni come abbiamo sperimentato in questi anni con andamenti “irrazionali” dello spread e del rating ma funzionali alla definizione di assetti politici e di decisioni di politica estera.

La campagna d’Europa 2010-2012, cominciata con l’attacco al mercato piccolo ed illiquido dei titoli del debito greco e funzionale ad indebolire l’euro con un effetto domino, ha dato evidenza a quanto “gli strumenti finanziari come i cds  sono armi di distruzioni di massa” dice Warren Buffet. In questi giorni il Dipartimento di Giustizia americano ha condannato S&P per manipolazione fraudolenta del rating; anche i bambini dell’asilo lo capiscono ma non i media – sarebbe meglio definirli “under media“ o “media plancton“, troppo abituati a scrivere sotto dettatura, che è più facile che pensare. “Under media” che hanno messo in ridicolo la procura di Trani e la Corte dei Conti, che avevano evidenziato l’inadeguatezza opportunistica di un rating attribuito per esercitare pressioni politiche. Adesso sarebbe il momento che la magistratura penale e quella contabile riprendessero in mano il problema alla luce della sentenza americana.

Così, di fronte a cambiamenti radicali, noi come Paese stiamo finendo in uno stagno mortale che ci priva del coraggio necessario per affrontare queste sfide epocali; non possiamo essere indipendenti, ma non possiamo nemmeno essere dipendenti al punto da perdere l’autonomia che è condizione indispensabile per ogni singola istituzione a partire dalla famiglia.

L’ARTE DELLA POLITICA

Qui sta l’arte della politica, nel senso più nobile, ma richiede cultura, visione della storia, una visione anche utopica della società, tutti elementi che oggi sembrano carenti nella classe politica e dirigente in senso lato del Paese. In questo confuso contesto il governo affronta il tema del cambiamento statutario delle Banche Popolari, delle  Bcc con un’ipotesi di riforma che mette in evidenza, certamente, i  ritardi nei cambiamenti a loro richiesti dai tempi  ma ha una connotazione  antistorica e discutibile nei tempi e nei modi nel contesto storico in cui ci stiamo muovendo, specie di fronte ad una finanza sovradimensionata. Le popolari e la Bcc hanno avuto un immobilismo eccessivo nella governance che ha finito per generare comportamenti opportunistici ma questo è il modello culturale di un Paese che 40 anni non produce cultura e vive della rendita ma che sia la politica, prima colpevole a sollevare e cavalcare il problema è emblematico. Gran parte della responsabilità del disastro non è attribuibile solo all’avidità ed immoralità dei politici, ma anche al contesto culturale che i guru della finanza e dell’economia avevano contribuito a rendere i titoli tossici – derivati, cds, futures, ecc… – un elisir di lunga vita perchè l’asimmetria informativa dominante obbligava a fidarsi degli  “sciamani” della finanza che garantivano la verità incontrovertibile.

Evidenziare i problemi delle Banche Popolari e le Bcc è corretto ma in questo momento non sembra essere  la priorità del Paese in cui tutto peggiora, non sembra utile accentuare i conflitti con quei soggetti che nel bene, ma anche nel male talora, rappresentano la storia del Paese, la solidarietà collaborativa a cui si deve ritornare, il legame con il territorio e l’economia reale per farle diventare spa. Poi riesumare dal sarcofago nubiano dove la storia lo aveva seppellito culturalmente il “mantra del creare valore per gli azionisti” è del tutto fuori luogo.  Forse si pensa, sia più facile fare entrare capitali e fondi finanziari stranieri che, però, guardando al profitto, non sono minimamente interessati a creare quel capitale sociale da cui invece bisogna ripartire.

In un contesto di debolezza contrattuale potrebbe essere facile a capitali esterni, troppo spesso non regolamentati, acquisire nelle stesse banche popolari una partecipazione anche minoritaria del 10 % a condizioni oggi particolarmente favorevoli, evitare le opa previste dal TUF e governare un agglomerato importante che potrebbe, poi, procedere alla scalata, a stralcio, di importanti istituti di credito in difficoltà; in questi giorni è stata avviata un’indagine su “insider trading“ proprio su queste banche, un fatto del tutto casuale? Ma la progressiva concentrazione del credito in un Paese altamente frammentato con il 94 % degli occupati nelle medie e piccole imprese, crea il rischio dell’esercizio di un potere non regolato essendo gli interessi di quel capitale esterni al Paese e si finisce per separare il capitale dal lavoro a scapito di quest’ultimo che viene messo in una posizione giugulatoria come vediamo ogni giorno. Il ruolo di regolazione di Bankitalia diventa determinante e critico per garantire la riduzione di potenziali conflitti di interesse e la continuità territoriale del rapporto dei soggetti.

IL VALORE DELLE RIFORME

Le riforme vanno fatte ma prima di farle bisogna capire il come ed il quando in una logica di trasparente rendicontabilità, altrimenti farle per farle senza una trasparente armonia fra di esse crea solo confusione e dubbi interpretativi soprattutto nell’ambito di una finanza il cui potere va tenuto sotto controllo. Così si ha l’impressione di essere in un contesto  di riforme “ pot-pourri “in cui ognuna nasce svincolata dalle altre con una sua vita propria,  anche lontana dalla realtà che deve modificare, in compenso tutto è peggiorato e sta peggiorando in una confusione di messaggi in cui non si capisce più il senso della continuità della storia e dello scenario a cui tendere per riunire il Paese verso un bene comune condiviso. La politica, priva di grande idee, deve stare a galla su un surf, tramite una rincorsa continua ad emergenze, leggi.. sempre di corsa senza capire che bisogna andare a fondo per capire i problemi e non “surfare“ in continuazione aspettando le successive elezioni.

Le banche popolari, le Bcc e le Fondazioni sono la storia di un aese che si è fatto sull’artigianato, sulla creatività che ne deriva, sulla solidarietà sociale ed economica , sull’attaccamento al territorio che sono le fondamenta di una società che cresce nel rispetto delle persone, di un’uguaglianza anche nei redditi che rafforza i legami sociali. Queste realtà si sono sviluppate più nel nord del Paese dove l’antica cultura contadina ha dato luogo alla mezzadria, più si produce e più si distribuisce, ma non nel sud dove il latifondo ed il bracciantato hanno creato la cultura della rendita. La solidarietà non è nella natura dell’uomo ma nasce nel bisogno e dalla paura che unisce i deboli a fronte di possibili drammi umani e sociali. Il nord perennemente arato dalle invasioni ha sviluppato quest’attitudine culturale che oggi è fondamentale per affrontare i problemi della paura e dell’insicurezza di cui abbiamo fatto cenno all’inizio. Grazie a questo modello socioculturale il Paese ha sviluppato la cultura dell’economia reale e della manifattura che ci mette ancora oggi ai primi posti al mondo in diversi settori. Tra le prime 7 regioni europee a più alto lavoro manifatturiero ce ne sono quattro italiane – Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna -, in queste il legame di solidarietà con il territorio è espresso dal fatto che la raccolta dei capitali viene controllata maggiormente e spesso investiti dove sono raccolti, da qui nasce la natura del credito cooperativo ed il legame stretto con il territorio e la solidarietà di quelle regioni come il terremoto in Emilia ha dimostrato. C’è un legame storico e culturale alla base che va ripensato, se necessario, ma con prudenza, attenzione alla storia, alla cultura dei popoli che si forma nei secoli.

POTERE E REALTÀ 

Qui veniamo al tema caldo degli errori attribuiti al ruolo dei politici nelle fondazioni, l’avidità di troppi soggetti, la mancanza di regole morali e l’incompetenza tecnica hanno portato alla dissipazione del risparmio creato nei secoli da intere generazioni ma è stato il contesto tecnico-culturale che ha steso davanti a loro un “red carpet“. I primi anni del secolo, infatti, sono stati quelli dei derivati, dei sub-prime, dei cds, della finanza dominante non regolamentata, creatrice di valore, solo per pochi, e della cultura del pensiero unico che non ammetteva discussioni né critiche. In quegli anni la finanza si è appoggiata alla strumentazione matematica che per traslazione dava la certezza del numero ma la allontanava dal mondo reale: la “tecknè“ matematica è diventata dominante, come rileva Severino , così da mezzo è diventata fine a cui tendere. Questa verità della finanza “razionale“, staccata dalla realtà e costruita con sofisticati calcoli matematici  fatti da fisici nucleari, da matematici puri, da statistici, da econometristi alla fine era capita da pochi così in presenza di asimmetrie informative come si fa a non fidarsi delle garanzie date dal pensiero dominante e riempirsi di derivati, non farli sembrava essere un errore gravissimo . Allora la colpa dei tali errori è solo da attribuire all’avidità ed alla immoralità diffusa, dai politici nelle fondazioni o anche da coloro che ne sostenevano l’assoluta utilità? Le principali banche d’affari di Wall Street  nei loro board non avevano politici né personaggi indicati dalla politica ma, funzionando da cinghia di trasmissione tra potere e realtà, hanno contribuito a provocare il disastro che vediamo ed ancora riescono a condizionare la regolamentazione dei loro prodotti tossici e navigano su un mare sterminato di derivati. Ma allora è un problema di formule o di uomini e di modelli culturali? Ogni paese ha la sua storia che si è fatta nei secoli e perdere il contatto con essa per seguire modelli astratti può essere pericoloso perché si perde la propria identità. Emblematico è stato un editoriale del Corriere della Sera nel luglio del 2009 in cui si dava evidenza di come a fallire per prime fossero state le banche popolari tedesche nel 2007 per colpa dei politici che le spingevano a lavorare sui prodotti tossici. Ma in quegli anni – dal 2003 al 2008 – chi diceva che quei prodotti, promossi anche da Greenspan, erano tossici? Assolutamente nessuno, anzi è vero il contrario perché come sosteneva Lucas nel 2004 alla convention degli economisti americani “tutti i problemi di errore dei mercati erano risolti e nessun problema si vedeva nel futuro“ , infatti fino al giorno precedente al fallimento Lehman Brothers aveva la tripla A  .

Questa crisi è stata determinata da uomini e non da eventi naturali ed imprevedibili; spesso questi uomini si sono laureati nelle università migliori; possiamo cominciare a domandarci che responsabilità hanno questi uomini ed i loro maestri ad averci messo in questa mortale situazione?  E’ questo il vero è problema perché, scivolato via il dramma,, sono rimasti a pontificare sulla immoralità dei politici ed ad occuparsi della Corporate Social Responsability, ma le loro responsabilità le hanno fatte scivolare via come l’acqua sui vetri quando piove. Le responsabilità a vario titolo sono di tutti e tutti assieme dobbiamo condividerle è troppo comodo dare le colpe agli altri. Questa crisi è culturale ed antropologica ed i modelli che l’hanno sostenuta non hanno scusanti ma responsabilità anche pesanti per i danni sociali, morali, finanziari che hanno creato, non possiamo più permetterci di navigare nel porto delle nebbie .

Allora proviamo anche a metterci tutti  in discussione per il bene comune, per i più poveri ed i più disagiati, per le minoranza dimenticate, perché sia possibile ricreare un clima di accettazione reciproco e di accoglienza. Superare le difficoltà può comportare dolore ma se condiviso è sopportabile, ci vuole anche il coraggio per superare il conformismo soffocante ma il coraggio, purtroppo, non si compra al supermercato in bustine ma lo si trova solo dentro di sé e nell’esempio dei tanti che in questo paese operano per il bene comune.


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