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Per un ritorno alla politica complessa

La realtà, come sempre, supera le nostre fantasie. E oggi abitiamo un mondo percorso da una crudeltà innaturale, negazione del senso umano che portiamo dentro in quanto persone.

Non importa quale sia la nostra appartenenza culturale o religiosa.  Ciascuno di noi ha il dovere, se teniamo alla sopravvivenza dell’umanità, di ripensare le proprie certezze, di problematizzarle, di aprirsi alle differenze e di viverle come ricchezze e non come ostacoli per la propria realizzazione.

Le appartenenze vanno disarmate, non negate. Ciò al fine di rendere davvero globale la straordinaria complessità della condizione umana; oggi, invece, nel modello globalizzato, l’abbiamo ridotta, separata ed abbiamo ottenuto il risultato di far competere le differenze (esasperandole e totalizzandole) anziché di farle cooperare.

Non ci rassegniamo al tanto sbandierato scontro fra civiltà ma notiamo una diffusa chiusura nelle convinzioni particolari, una linearità dilagante e dominante, una inagita volontà di progetto. Ciò si vede, più che in altre cose, nello smarrimento della politica, nel fatto che il mondo sia sostanzialmente non governato, lasciato al gioco delle minacce, dei ricatti, delle armi vecchie e nuove e, culturalmente, abbandonato alle narrazioni dei vincitori.

Solo la politica complessa, che è visione di società, può restituirci quell’orizzonte di senso che l’umanità sembra avere perduto e, con esso, le possibilità del suo divenire; solo i mediocri si abbandonano allo scontro e lo fomentano. Gli altri, speriamo i più, lavorino per ricercare mediazioni, per liberare progettualità, nella coscienza e nella consapevolezza che senza politica complessa c’è solo guerra.

 



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