Il social advertising si caratterizza da tempo per la capacità di dare forma in maniera creativa e innovativa a temi di forte rilevanza sociale. La rappresentazione drammatica del tema oggetto di una campagna pubblicitaria, infatti, non basta più ad azionare un circolo virtuoso tra i soggetti protagonisti dell’adv, le istituzioni del non profit promotrici dell’iniziativa e l’audience a cui si chiede attenzione e sostegno.
Ma cos’è, e come agisce, la comunicazione non convenzionale? Quali sono le sue peculiarità? E quali le sue debolezze? Se n’è parlato ieri sera durante la presentazione del volume “Social Guerrilla – semiotica della comunicazione non convenzionale” di Paolo Peverini, docente di Semiotica e Semiotica della comunicazione visiva presso la LUISS Guido Carli, nella cornice dell’acceleratore di start-up LUISS Enlabs. Luogo indicato per un dibattito del genere – spiega Stefano Pighini, Chairman LVenture Group – «poiché rappresenta un esempio tangibile di “disruptive innovation”».
VENDERE UN’IDEA E NON UN PRODOTTO
Ad aprire il dibattito è stata Isabella Pezzini, docente di Semiotica presso la facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza di Roma, secondo cui il libro di Peverini è «un’occasione per rivolgere un ricordo a Massimo Baldini», preside della Facoltà di Scienze Politiche e direttore della Scuola superiore di giornalismo della LUISS, scomparso nel 2008 e considerato un punto di riferimento per la semiotica e la comunicazione. La professoressa ha spiegato poi come «la comunicazione non convenzionale segue sentieri diversi rispetto a quelli per cui ci muoviamo solitamente. Gran parte dei temi trattati riguardano la cosiddetta comunicazione sociale. Non si tratta solo di vendere un prodotto ma un’idea e sensibilizzare il pubblico su temi importanti riguardanti la salute, la guerra, la povertà». Per la Pizzini questi argomenti si distinguono «perché agiscono direttamente sul destinatario e tendono a provocare in lui uno shock e farlo riflettere. Si verifica un processo simile allo straniamento» dice.
LA DIMENSIONE LUDICA E DI ATTACCO DELLA COMUNICAZIONE NON CONVENZIONALE
La Pizzini entra, poi, nel merito del volume riferendo che «il tema della guerrilla presente nel titolo rimanda alla guerrilla semiologica di Umberto Eco e Paolo Fabbri e richiama l’ampio campo metaforico della guerra utilizzato anche nella comunicazione a livello strategico». La docente spiega che alla fine del libro di Peverini «c’è un nutrito gruppo di casi che dimostrano la dimensione di attacco e allo stesso tempo ludica di questo linguaggio. Il testo fa un’analisi di queste forme dal punto di vista semiotico – dice -. Si tratta di un lavoro molto dettagliato che fa riflettere sull’identità visiva e lo storytelling». E conclude: «La competenza semiotica serve a Peverini per articolare temi in modo fine e fornire una cassetta degli attrezzi per capire determinati fenomeni».
SUPERAMENTO DELL’INDIFFERENZA E IMPREVEDIBILITÀ DEGLI EFFETTI
Per Daniela Carosio, segretario generale della fondazione EY Italia ONLUS, «l’aspetto più interessante del libro di Peverini è la capacità di sistematizzare tutto ciò che finora è venuto fuori sulla comunicazione non convenzionale. Viene superata l’idea ingenua che per avere attenzione su un tema sociale bisogna essere didattici. Il libro muove alla riflessione, non è passivizzante», spiega. Questo tipo di comunicazione si distingue da quella convenzionale perché per la Carosio «tiene conto del fatto che il realismo dell’immagine non è più efficace e sfruttando il valore della sorpresa nell’audience, supera lo scoglio dell’indifferenza e della disattenzione». «Lo stile è coinvolgente, riguarda lo spazio quotidiano ed esce da quelli classici, ha una capacità enorme di innescare il passaparola, è virale – spiega – ma non essendo misurabile e controllabile è pericolosa perché non sappiamo se spinga davvero all’azione».
UNA RIVOLUZIONE CHIAMATA “GUERRILLA”
Il segretario generale di EY Italia ONLUS definisce la guerrilla «una piccola rivoluzione nel termine stesso, perché provoca. Il rischio è che si possano innescare delle difese rispetto alla “guerra”, ma è interessante lo spiazzamento, che funziona e che dovrebbe esserci oggi in tutte le forme di comunicazione». Come? «Utilizzando spazi urbani e luoghi di lavoro, catturando il pubblico, coinvolgendolo in una azione, dando vita a qualcosa che sia notiziabile, memorabile, sfruttando molto la vitalità». Ma, spiega la Carosio «tenendo presente i rischi e gli effetti sul lungo periodo».
UN GIUDIZIO IN TRE PUNTI DI DARIO EDOARDO VIGANÒ
Dario Edoardo Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano e professore presso la Pontificia Università Lateranense – che con Peverini condivide l’esperienza di ricerca del Centre for Media and Communication Studies della LUISS – ha spiegato come ogni giorno abbia a che fare «con una strategia comunicativa, quella del Papa, assolutamente non convenzionale».
E, seguendone l’esempio, ha definito l’opera di Peverini in tre punti: «Non è banale né autosufficiente». Un tema così complesso «si presta al rischio della fumosità, perché è impossibile tracciare i confini della semiotica. E non è narcisistico come la maggior parte dei libri scritti dai professori – continua -. È piuttosto un “attraversamento” degli autori fondamentali della disciplina semiotica e socio semiotica e del linguaggio specifico. Quando si parla di enunciazione o vitalità, per esempio, Peverini è accorto a spiegare in nota di cosa di tratta». In secundis, per Viganò nel libro «si scorge la passione per la didattica. Peverini accompagna il lettore attraverso esempi concreti ragionandoci e facendone emergere i nodi teorici alla base». E per finire «sottolinea l’efficacia dell’advertising dal punto di vista degli investimenti, in un contesto in cui la rete mette in crisi l’audience».
EFFICACIA E NON CONVENZIONALITÀ
Soprattutto in Italia, ha aggiunto il direttore del Ctv, «molte case di produzione cinematografiche e musicali fanno fatica a investire in rete, il product placement è voce irrilevante da noi. Ma gli stereotipi narrativi dell’advertising ci logorano e ci hanno stancato». «C’è affollamento nel sociale – ha continuato Viganò -, ci sono molti competitor, e c’è il problema di mantenere visibilità nell’agenda dei media. Ed è proprio questo che rende la comunicazione sociale più sperimentale. Si sviluppa così, nel contesto dell’efficacia, la non convenzionalità». «Certo – conclude – non basta essere unconventional per essere efficaci ma vale comunque la pena sperimentare».
LA PAROLA ALL’AUTORE
Paolo Peverini, autore di “Social Guerrilla”, ha spiegato che il motore di tutta la sua attività è Massimo Baldini e racconta che nel suo libro non vengono citati casi italiani «perché in Italia i creativi non riescono a lavorare, i budget sono ristretti e non si va oltre il “classico”». Sulla scelta del titolo, invece, dice di riferirsi «all’impatto sociale e non di vendita della comunicazione, mentre l’espressione “social guerrilla” rimanda all’ambito dei social media». Per il docente di Semiotica «le forme non convenzionali, che traggono ispirazione dall’arte, entrano nell’agire quotidiano ed escono dai media tradizionali. Ma le campagne più interessanti sono quelle intelligenti, le più difficili da realizzare, che inducono a un cambiamento di atteggiamenti nelle persone», una su tutte quella creata dall’Unicef sul tema delle mine anti-uomo.
Ma bisogna fare attenzione: «Il rischio è cercare a tutti i costi un effetto di rottura a discapito del contenuto e della trasparenza. Mentre, invece, c’è bisogno che si instauri un rapporto di fiducia con l’audience», spiega. Nel caso specifico dell’Italia, nonostante ci siano ampi spazi da sfruttare, la comunicazione non convenzionale è ancora vista con una certa diffidenza perché «oltre a un problema di finanziamenti ci sono logiche di tipo pedagogico che rappresentano degli scogli difficili da sormontare». C’è insomma un gap culturale che ci fa restare indietro ma il pericolo è che la comunicazione, così come viene fatta nel nostro Paese, generi prima o poi «assuefazione e perdita di interesse. E ciò è preoccupante», spiega Peverini.