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Verso il Green act italiano

Combattere i cambiamenti climatici non è solo una questione ambientale e tantomeno economica: è una questione etica, un obbligo morale verso i nostri figli e per le generazioni future.

Solo se si ha chiara questa impostazione, se si ha chiaro che, come ha detto il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon, non esiste un piano B sul climate change, perché non esiste un “pianeta B”, solo se ci si assume in pieno la responsabilità della Terra che lasceremo in eredità a chi verrà dopo di noi, si possono affrontare i temi del riscaldamento globale con la serietà che meritano.

A Lima è stato fatto un gran lavoro. Abbiamo tracciato un sentiero convincente che spero ci porti fra un anno a quell’intesa che non può più essere rinviata. E’ stata una trattativa complessa, che ha visto anche Stati strategici come Usa e Cina, maggiori emettitori di Co2 al mondo, che in passato hanno rappresentato ragioni nazionali differenziate, determinati a raggiungere un risultato negoziale efficace.

Anche nella fase più complessa del negoziato, che si è protratto per ben 48 ore dopo la fine prevista della conferenza, credo non sia mai stato in discussione il raggiungimento di un accordo in vista della conferenza di Parigi: in tutti c’era la consapevolezza che non si può più attendere. La nostra Terra non ci concede altro tempo. Dobbiamo agire.

La “Decisione di Lima” e la “Bozza di elementi per il testo dell’ accordo del 2015” sono i risultati di questo impegno e tracciano una road map per arrivare con le carte in regola al dicembre prossimo, per siglare un accordo che contenga gli impegni di tutti i paesi sul fronte delle riduzioni delle emissioni. In particolare, la decisione di Lima assicurerà che i contributi per la riduzione delle emissioni che i Paesi presenteranno nei prossimi mesi siano  trasparenti, quantificabili, comparabili e adeguati rispetto all’obiettivo di contenere la crescita della temperatura entro la soglia dei 2 gradi.

Dalla conferenza sono giunte inoltre risposte significative sia sul Green fund che sulla finanza a lungo termine, nell’ambito di una visione condivisa della crescita verde come modello socio-economico alternativo su cui si deve basare lo sviluppo se vuole essere sostenibile ed equo.

Il nostro paese a Lima ha confermato con determinazione  la volontà di perseguire obiettivi importanti e in questo scenario l’Europa, guidata dall’Italia, presidente di turno lo scorso semestre, ha svolto un ruolo importante, di stimolo e di moral suasion. Ha messo in campo tutta la sua capacità diplomatica e le sue relazioni internazionali per centrare l’obiettivo dell’accordo.

L’Unione europea ha confermato il suo ruolo di avanguardia sulle tematiche ambientali, come dimostrano le scelte politiche intraprese, non ultimo il Pacchetto 2030, e la volontà di promuovere trasformazioni economiche radicali, in favore di una società a basse emissioni. Trasformazioni che incentivino il passaggio dall’economia lineare novecentesca, che consuma troppe risorse e produce troppi rifiuti, all’economia circolare del futuro che conserva e riusa le risorse ed è tendenzialmente a rifiuti zero. In quest’ottica le decisioni assunte dal Consiglio Ambiente europeo nell’ottobre scorso in materia di clima ed energia, che sono pur sempre migliorabili, rappresentano oggi nel panorama mondiale gli impegni di gran lunga più rilevanti sia in termini di target di riduzione delle emissioni che di incremento della produzione di energia da rinnovabili ed efficienza energetica.

Si tratta di impegni che se hanno un valore su scala mondiale (ma va sottolineato che oggi l’UE è portatrice di poco più del 10% delle emissioni climalteranti), ne hanno uno forse ancora maggiore sul fronte interno, assecondando e accompagnando le scelte assunte in direzione della decarbonizzazione della nostra economia. Scelte che ci hanno già portato ad alti target di produzione di energia da rinnovabili, a standard di efficienza energetica fra i più alti d’Europa e che puntiamo ad incrementare ulteriormente anche grazie agli incentivi esistenti. Parliamo di una sfida complessiva che non riguarda solo il settore energetico ma un modo green di pensare tutta la società. E che deve riguardare, ad esempio, anche i consumi civili, i trasporti e il terziario che da soli coprono circa l’80 per cento delle emissioni di gas serra, oltre agli effetti di inquinamento urbano.

Nasce da questa visione l’impegno a varare in breve tempo un Green Act nazionale, che intende non solo rafforzare gli impegni in campo ambientale ma anche indicare la filiera della green economy come settore trainante, anche in termini occupazionali, dell’economia italiana. Davanti a noi c’è la grande opportunità dello sviluppo sostenibile, della green economy che sarà l’economia del futuro, capace di innescare lo sviluppo, l’occupazione, l’innovazione tecnologica necessaria a costruire un modello di crescita a basse emissioni di carbonio. E c’è la scommessa culturale, in cui enti intermedi come le organizzazioni non governative, le associazioni, i sindacati possono rivestire una decisiva funzione di moltiplicatori di sensibilità e di attenzione per aggregare consenso sociale attorno alle scelte di cambiamento rese necessarie dalle azioni sul climate change.

Certamente non tutti i nodi sono ancora sciolti in vista della conferenza di Parigi. Fino a dicembre 2015 ci sarà molto  da lavorare, ma la strada che abbiamo percorso finora ci consente di guardare avanti con fiducia. Parigi è il nostro appuntamento con la storia che non possiamo fallire.

(Articolo tratto dal n°100 della rivista Formiche)

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