Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Stiamo finalmente agganciando la tanto agognata ripresa? Le condizioni economiche della zona euro sono in così rapido miglioramento? Ci siamo definitivamente messi alle spalle la crisi? Sono queste le domande che il mondo economico – produttivo ed i cittadini si stanno ponendo in queste settimane in un mix di speranze e timori.
E’ un dato di fatto che l’azione promossa da Mario Draghi con il Quantitative easing sta impattando positivamente sulle economie dell’Eurozona. Euro debole, tassi d’interesse bassi ed una sensibile diminuzione del prezzo del greggio, rappresentano condizioni favorevoli per la ripresa.
Se vogliamo avanzare una fredda e lucida analisi storica dei recenti eventi, possiamo dire che il piano Draghi non solo testimonia il fallimento delle ricette passate, ma evidenzia le gravi responsabilità di quanti hanno lavorato, sin dall’inizio della crisi, per ostacolare un’azione incisiva della Bce. Germania in testa.
Il Quantitative easing è senz’altro un provvedimento essenziale, che dà respiro e restituisce speranze e fiducia alle nostre economie, ma non può e non deve essere considerato come la panacea di tutti i nostri mali e sarebbe del tutto sbagliato scambiare una rondine con la primavera.
Pensare che da sola la misura della Bce bonifichi le carenze dei Paesi dell’Eurozona ed al contempo renda stabile la prospettiva di crescita di queste economie, specie in realtà profondamente articolate e depresse come quella italiana, è non solo utopico, ma anche pericoloso.
Le stime di crescita per l’Italia, che alcuni in questi giorni stanno rivedendo al rialzo dello 0,2 – per una crescita potenziale compresa tra 0,5 e 0,6% – sono la conferma di una tendenza positiva più che di una certificazione del rilancio della nostra economia.
Pertanto, se si vuole agganciare la ripresa e stimolare una crescita che non sia irrisoria e contingente, è necessario che si predispongano delle misure atte a favorire questo corso attraverso la messa in campo di un piano di “crescita e sviluppo” fatto di investimenti e di stimoli fiscali.
Il tesoretto che si sta accumulando grazie ai bassi tassi d’interesse favoriti dall’azione del Quantitative easing, rappresenta un piccolo-grande salvadanaio a cui attingere, che non può essere adoperato per la spesa (improduttiva) corrente e le prebende pre elettorali, come una sorta di fondo di ridistribuzione di risorse che il Paese non possiede e che non aiuterebbero neanche la ripresa della domanda interna.
Serve, invece, un serio intervento sul cuneo fiscale affinché, le stesse aziende private riprendano ad investire, supportate ed incoraggiate dal ritrovato clima di fiducia e dalla competitività sui mercati esteri. E’ questa una strada obbligata per il rilancio della nostra economia, poiché la variabile “tempo” non sembra giocare a nostro favore e tutto, in un’economia globalizzata, potrebbe velocemente mutare.
Infatti, non solo l’azione della Bce non è a tempo illimitato e non è né immaginabile né tanto meno auspicabile che abbia una durata maggiore di quella preventivata, ma altre nubi, oggi all’orizzonte, potrebbero presto addensarsi e dare corso, se non ad una nuova tempesta, ad un significativo cambio di clima.
L’affaire greco rappresenta un rischio che non può essere né sottovalutato né può ritenersi riassorbito. A questo, si aggiungono altri fronti, come la crisi in Russia, la situazione mediorientale ed il prezzo del petrolio che potrebbe subire, contro ogni pronostico che lo vuole stabile per almeno un altro anno, un repentino e significativo rialzo.
Possiamo quindi sprecare questa occasione? Forse non sarà l’ultima, ma dopo, di sicuro, c’è solo un salto nel buio.