L’utilizzo di combustibili alternativi equivale a quello degli inceneritori? Può essere nocivo o tossico? Quale effetto hanno i combustibili alternativi sul cemento prodotto?
Queste sono alcune delle domande alle quali si è cercato di dare risposta nello studio realizzato dal Consorzio LEAP di Piacenza, assieme al Politecnico di Milano, dove si è esaminata criticamente tutta la documentazione scientifica disponibile sulle implicazioni ambientali dell’utilizzo di combustibili alternativi nella produzione di cemento, e disponibile sul sito all’indirizzo www.leap.polimi.it (nell’area download) o www.aitecweb.com.
LA PRESENTAZIONE DELLO STUDIO
La risposta emersa a partire dalla presentazione svoltasi ieri a Roma presso la sede di Confindustria e promossa da AITEC, dal 1959 organo di rappresentanza dell’industria cementiera nazionale. Alla presentazione hanno partecipato Daniele Gizzi (AITEC), Stefano Cernuschi (DICA, Politecnico Milano), Filippo Brandolini (Federambiente), Giovanni Riva (Comitato Termotecnico Italiano), Mauro Rotatori (CNR), Giuseppe Schlitzer (AITEC) e Jacopo Giliberto (Il Sole 24 Ore).
I DETTAGLI DEL RAPPORTO AITEC
Lo studio analizza le caratteristiche ambientali dei prodotti e le emissioni atmosferiche dei materiali inquinanti nel processo di produzione del clinker, il componente base per la produzione del cemento, al variare della percentuale di sostituzione calorica del combustibile tradizionale con altri combustibili alternativi. Con risultati apprezzabili – dicono le conclusioni dello studio – dal punto di vista ambientale, cioè delle minori emissioni di inquinamento in vista dell’utilizzo di combustibili alternativi.
LA VALUTAZIONE DI FEDERAMBIENTE
“Dai dati ufficiali presenti nello studio risulta che gli impianti di termovalorizzazione hanno ridotto decisamente qualsiasi parametro di inquinamento”, ha detto Brandolini di Federambiente: “Il settore della gestione dei rifiuti è inoltre uno di quelli che ha ottenuto migliori risultati in termini di efficienza, a differenza di altri come il trasporto pubblico e di merci. Ciò non toglie che l’attenzione sociale e politica può portare a risultati positivi, come dimostra il fatto che oggi oltre il 90% delle imprese sono imprese a parziale controllo pubblico, e questo ha permesso l’investimento verso nuove tecnologie. Ma restano delle semplici scelte commerciali a favorire l’esportazione dei rifiuti prodotti in Italia all’estero”.
I NUMERI DEI CEMENTIFICI
Dal dibattito è emerso che per eliminare del tutto il problema della gestione della rifiuti è necessario affrontarlo attraverso un approccio di economia circolare, capace cioè di riutilizzare gli avanzi di lavorazione per creare nuova energie piuttosto che generare ulteriori costi per l’esportazione degli stessi avanzi all’estero, verso Paesi ben lieti di acquistarli, come spesso accade. Oggi i cementifici infatti utilizzano soltanto 300 mila tonnellate di combustibili alternativi derivati dal trattamento dei rifiuti, in vista di un potenziale di 1 milione e 300 mila tonnellate, con relativa riduzione delle emissioni di Co2. Questi rappresentano l’11% del tasso di sostituzione calorica: percentuale molto inferiore a Paesi come la Germania, dove è il 61%, la Francia dove è il 26%, la Polonia dove è 45%, oppure dell’Olanda, Paese in questo campo virtuoso per eccellenza, dove il tasso si attesta addirittura al 98%. E la cosa più anomala è proprio il fatto che questi risultati vengono raggiunti grazie ai rifiuti italiani portati fino a quei territori a spese della collettività.
“Dobbiamo sollecitare continuamente il legislatore con nuovi dati e l’opinione pubblica con nuovi stimoli capaci di stimolare un processo di verifica e chiarificazione, per dimostrare le cose che continuamente e da anni sosteniamo e ribadiamo”, ha detto Mauro Rotatori del CNR.
LA PIANIFICAZIONE INEFFICACE
I rifiuti di cui si sta parlando appartengono alla categoria di rifiuti non pericolosi, CSS, che per una superficialità normativa non sono distinguibili da quelli invece pericolosi, i CSS combustibili, in quanto indicati con lo stesso nome. I normali rifiuti solidi urbani infatti non possono entrare nelle cementerie, ma soltanto quelli che fuoriescono dai processi di lavorazione. E l’abbassamento delle emissioni specifiche è frutto di investimenti delle singole aziende nell’utilizzo di materiale non inquinante, garantendo anche una buona cifra di soldi risparmiati.
“AITEC ha voluto fare qualcosa di scientifico affidando l’indagine a degli esperti come quelli del Politecnico, e i dati dovranno essere giudicati dalla comunità scientifica. È stato messo in campo un metodo, ora tocca alla politica assumersi le sue responsabilità” ha detto Giuseppe Schlitzer, general manager di AITEC. “E in Italia c’è una sensibilità molto elevata sull’argomento”.
Comunque, non si può più prescindere dalle decisioni europee. Il concetto che ci viene suggerito dall’Europa è infatti quello della trasformazione del rifiuto in risorsa, ma la normativa comunitaria viene spesso declinata a livello locale con applicazioni ancora più restrittive. Oltre ai tempi estremamente elevati che vi sono in Italia in materia di autorizzazioni: una media di sei anni contro 18 mesi in Francia e 6 mesi in Germania.
“Le autorità locali con le loro pianificazioni fasulle non sono più in grado di governare questa situazione”, hanno detto diversi addetti ai lavori: “Serve una pianificazione nazionale”.