Articolo estratto dalla Geopolitical weekly del Centro Studi Internazionali
Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 28 marzo, la Nigeria viene nuovamente colpita dalla violenza di Boko Haram, che il 24 marzo scorso ha ucciso circa 50 persone e rapito 400 tra donne e bambini a Damasak, città dello Stato del Borno al confine settentrionale con il Niger.
La città di Damasak era stata riconquistata a inizio mese dalle truppe ciadiane e nigerine, in un’offensiva della Multinational joint task force (Mjtf), la missione multinazionale anti-terrorismo attuata dai governi di Ciad, Niger, Nigeria e Camerun indirizzata a confinare i miliziani nelle regioni nord-orientali della Nigeria.
In occasione delle elezioni presidenziali, già posticipate dallo scorso 14 febbraio per questioni di sicurezza legate all’imperversare degli attentati di Boko Haram nel nord est del Paese, sarà interdetta la circolazione di veicoli (eccetto mezzi di soccorso) e operata la chiusura dei confini in tutta la Nigeria.
Tuttavia, resta incerta la questione del voto nelle zone colpite dall’offensiva bokoharamista, anche in luce delle violenze etnico-settarie che generalmente accompagnano gli appuntamenti elettorali nazionali.
In un clima già teso per la recente dichiarazione di fedeltà di Boko Haram allo Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi, un’eventuale riconferma del presidente uscente Goodluck Jonathan, leader del Partito democratico popolare (Pdp), di religione cristiana ed etnia Igbo, rischierebbe di far esplodere le tensioni interne a causa del mancato rispetto della consuetudinaria alternanza tra presidenti cristiani e appartenenti alle etnie meridionali (Yoruba e Igbo) e presidenti musulmani appartenenti alle etnie settentrionali (Hausa-Fulani).
L’eventuale ulteriore radicalizzazione delle posizioni della comunità islamica del nord della Nigeria potrebbe essere sfruttata da Boko Haram per accrescere il proprio bacino di reclutamento e nonché le spettro delle proprie operazioni.