Il decreto-legge n. 3/2015, convertito in legge lo scorso martedì dal Senato, è incostituzionale, poiché viola la Costituzione almeno in 4 articoli: 3, 41, 45 e 47.
La motivazione è presto detta. Il trattamento discriminatorio che il governo ha riservato alle banche popolari nella trasformazione in legge del decreto, attraverso una forma di esproprio coatto del risparmio dei cittadini depositato presso tali banche viola, innanzitutto, il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3, in base al quale la legge deve trattare in maniera indiscriminata tutti i cittadini, che in questo caso sono i risparmiatori.
Non si capisce perché un cliente che abbia scelto appositamente il risparmio popolare, che ha dei requisiti ben specifici, debba vedere la sua banca trasformarsi coattivamente in S.p.A., ovvero in qualcosa che non aveva mai pensato di diventare.
Secondariamente, il decreto viola l’articolo 41 che sancisce la libertà di iniziativa economica, mentre in questo caso stiamo assistendo a una aberrante forma di trasformazione coatta dell’iniziativa imprenditoriale. La manovra appena eseguita dal governo è degna di un paese sovietico, non di una economia liberale come dovrebbe essere quella italiana, dove sono gli individui, e non lo Stato, a decidere quale forma societaria adottare per svolgere l’attività d’impresa.
Terzo, abbiamo assistito a una palese violazione dell’articolo 47, il quale afferma che la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio dei cittadini in tutte le sue forme. Da sottolineare proprio la locuzione tutte le forme, compresa, quindi, quella del risparmio popolare, che è una forma di risparmio alternativo a quello delle grandi banche commerciali che hanno carattere più speculativo e finanziario. Il risparmio popolare possiede dei caratteri talmente specifici, talmente particolari, che una legge non può, dall’oggi al domani e con il parere contrario dei risparmiatori, cancellare con un colpo di spugna.
Il risparmio popolare è un diritto dei cittadini, che devono poter scegliere la finalità verso la quale indirizzare il loro denaro, non una scelta arbitraria in mano allo Stato. Ecco perché il provvedimento in oggetto viola, di conseguenza, anche l’articolo 45, il quale afferma che è compito della Repubblica riconoscere la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità senza fini di speculazione privata. Il risparmio popolare non ha fini speculativi, è scelto dai clienti con altre motivazioni e quindi è inaccettabile dirottare il risparmio depositato in queste banche verso fini che i loro clienti non vogliono perseguire. E’ intollerabile che in uno stato liberale sia il governo a decidere cosa fare del risparmio di soggetti privati.
Per i suddetti motivi è auspicabile iniziare al più presto una azione legale al fine di poter sollevare, tramite l’intervento di un giudice, la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte Costituzionale, certi che la Consulta, che sicuramente conosce la Costituzione molto meglio di quanto la conosca l’attuale governo, saprà restituire ai cittadini la libertà di poter decidere cosa fare dei propri soldi.
Valentina Napoleoni
Consulente legale – Studio Contartese Roma