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Buona Scuola, ecco la riformetta di Renzi

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Alessandra Ricciardi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Nessuno toccherà gli aumenti di stipendio legati all’anzianità di servizio dei docenti. È una delle novità più rilevanti del disegno di legge di riforma che oggi approda al consiglio dei ministri, un articolato fortemente rivisitato dal dipartimento per gli affari giuridici della presidenza nelle ultime 24 ore.

C’è un esempio che circola negli ambienti del Pd per spiegare la retromarcia innestata da Palazzo Chigi su espressa indicazione di Matteo Renzi: con l’attuale sistema degli scatti una insegnante di scuola materna entra in servizio con 1.280 euro al mese, dopo quarant’anni arriva a 1.780, un aumento di 500 euro.

Il sistema che era stato individuato inizialmente dalla Buona scuola – 30% del fondo all’anzianità, il 70% per merito – avrebbe avuto l’effetto di condannare la docente a un aumento in 40 anni di soli 150 euro. «Togliere a tutti per dare poco in più solo a qualcuno era un elemento di evidente criticità», spiegano dal dicastero guidato da Stefania Giannini. «Il gioco non valeva la candela», rilanciano dal Partito democratico. Da dove in questi giorni di riscritture del provvedimento non sono mancate le voci, a partire da quella di Beppe Fioroni, ex ministro dell’istruzione, che mettevano in guardia il premier dai rischi di tagliare le già basse retribuzioni della scuola. Del resto, come va ripetendo la responsabile scuola del Pd, Francesca Puglisi, gli insegnanti votano prevalentemente per il centrosinistra, ed è un elettorato da non perdere.

Insomma, andare a dire a quasi 800mila lavoratori che il loro salario in media scenderà e in cambio dovranno anche sostenere un nuovo modello di scuola, più autonoma e flessibile, sarebbe stato troppo anche per Renzi. Il merito va finanziato con altre risorse. Ed è questo il busillis di queste ore: trovare una copertura presso il ministero dell’Economia sufficientemente capiente per dare un segnale consistente anche se iniziale di inversione di marcia. Sulla materia complessiva della carriera, il governo ha alla fine optato per una delega al ministero dell’istruzione, che avrà due anni per decidere come procedere.

Per i sindacati, la retromarcia sugli stipendi è il primo punto a favore in questo anno di governo nel quale hanno perso il potere di interlocuzione e di trattativa. Un punto che però non è detto sia predittivo di un cambio di rotta. Anche perché su tanti altri aspetti la riforma resta urticante per il mondo sindacale. Per esempio, l’accentuazione del carattere decisionista della figura del dirigente scolastico, che potrà assumere i nuovi docenti da albi provinciali, in base ai curricula. Una discrezionalità che fa leva sulla necessità di garantire il docente migliore per l’offerta formativa del singolo istituto, fermo restando che il sistema di reclutamento resta nazionale (concorso).

Per il premier si tratta di riconoscere alla scuola quei poteri di autonomia per troppo tempo rimasti sulla carta, e al dirigente quei poteri manageriali, che ne fanno una sorta di preside-sindaco, che sono stati per troppo tempo solo ipotizzati. Con una distinzione di ruolo tra dirigenti e docenti, che elimina le figure intermedie. Un progetto che ora, avendo adottato la formula del disegno di legge, dovrà fare i conti con i marosi parlamentari.

Fonti di governo sottolineano altri tre punti chiave dell’articolato: eliminazione delle classi pollaio, con l’incremento dell’organico, scuole aperte anche il pomeriggio, introduzione di una card del docente nella quale saranno caricati per il primo anno 400 euro di bonus da spendere per consumi culturali: libri, teatro, concerti, mostre, autovideo telematici. Una misura, anche questa, fortemente voluta da Renzi. Che si è impegnato con il ministro Giannini a farsi carico direttamente di trovare le copertura necessarie presso il responsabile dell’economia, Pier Carlo Padoan.


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