Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Alessandra Ricciardi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi
Il cambio di passo è stato deciso nel giro di poche ore. Quando ormai tutto era pronto, Matteo Renzi ha fatto trapelare il ritiro del decreto legge omnibus di riforma della scuola. Una retromarcia clamorosa, a fronte di ripetuti annunci e anticipazioni dei punti chiave dell’articolato, che ieri ha avuto la sua conferma. Il dl non si fa, al cdm sono passate delle semplici Linee guida di riforma. Poi si vedrà. Una decisione maturata in fretta, dicono rumors di palazzo Chigi, davanti alle difficoltà tecniche ed economiche di un impianto troppo articolato e complesso da poter poi difendere in parlamento, e prima ancora con il capo dello stato, Sergio Mattarella.
Il ricorso alla decretazione da parte del governo, circoscritto dalla Costituzione ai soli casi di necessità e di urgenza, a un attento esame del Dagl, il dipartimento degli affari giuridici della presidenza del consiglio, è parso su molti punti largamente ingiustificato. A nulla sono valse le difese d’ufficio del ministro dell’istruzione, Stefania Giannini, che si è detta «basita» della scelta. Perché se per il piano delle 120 mila stabilizzazioni di precari poteva valere il monito ad assumere subito, che giunge dalla Corte di giustizia europea, a cui è stato lo stesso Mattarella, ai tempi giudice della Corte costituzionale, a rinviare, su tanti, troppi altri punti l’urgenza e la necessità erano fortemente carenti. Alla fine, Renzi ha deciso di rinunciare al dl, evitando così di esporsi a un imbarazzante esame quirinalizio.
Che la musica fosse cambiata del resto era stato lo stesso Mattarella a farlo capire nel suo discorso di insediamento alle camere: «Sarò un giudice imparziale, voi però aiutatemi con un gioco corretto». E l’arma del decreto legge rappresenta certamente una forzatura del gioco, che intacca gli spazi di intervento del parlamento.
(ECCO LA BOZZA DEL DECRETO LA BUONA SCUOLA)
La bozza di articolato che sarebbe giunta al Quirinale per la firma prevedeva, in 40 articoli, una riforma complessiva della scuola, andando a incidere sui programmi scolastici, prevedendo nuove materie e orari di lavoro, la revisione di istituti, come i tecnici superiori, la riorganizzazione degli organici e la carriera dei docenti. Nel novero delle disposizioni ritenute urgenti, figura pure una normetta che autorizzava Miur e Beni culturali a rimettere mano per l’ennesima volta ai percorsi per i restauratori italiani, prevedendo l’equipollenza dei titoli rilasciati da scuole e istituti formativi, anche privati, alle lauree quinquennali delle università abilitate. Insomma, un decreto omnibus in pieno stile prima repubblica. La riforma ora è rinviata, e i tecnici stanno lavorando a varie ipotesi, la più gettonata è quella di un disegno di legge delega. Intanto i tempi si allungano e a pagare pegno saranno i 120 mila precari a cui Renzi aveva assicurato la stabilizzazione per settembre.
Il ritiro del dl sulla Buona scuola, assicurano ambienti del Pd, tra l’altro non sarà l’unico effetto di Mattarella al Colle: i decreti in futuro si vedranno con il contagocce. Per dare spinta alla sua azione, Renzi dovrà ricorrere ad altri strumenti e modalità, accettando il pieno confronto con il parlamento.