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Come cambia il lavoro nell’Industry 4.0

Qualcosa sta cambiando nella produzione manifatturiera. Esperti ed analisti sostengono che stiamo entrando nella quarta rivoluzione industriale: l’Industry 4.0. Dopo il vapore, l’elettricità e l’IT sarà l’utilizzo di internet nello spazio fisico a cambiare completamente i sistemi produttivi così come li conoscevamo fino a pochi anni fa.

Grazie alla cosiddetta Internet delle cose infatti, sarà, ed in parte è già possibile, mettere in comunicazione tra di loro tutte le componenti della catena di produzione, in modo che questa possa continuamente riprogrammarsi per garantire risparmi di tempo, energia e soprattutto lavoro umano. Prodotti sempre più personalizzati basati sui desideri del consumatore sostituiranno definitivamente la produzione di massa che ha caratterizzato l’industria del secondo dopoguerra. L’automazione è la vera chiave di questo sistema, le spese per robot saliranno a 24 miliardi di dollari nel 2025 rispetto agli 11 di oggi.

Questo non potrà che avere conseguenze negative sul numero degli occupati nel settore manifatturiero, ma allo stesso tempo è facile prevedere cambiamenti notevoli nella qualità del lavoro, come esposto in un recente paper ADAPT.

Uno dei motivi per cui si prevede lo sviluppo di questo nuovo modo di produrre nei paesi Occidentali, e non più delocalizzato in quelli in via di sviluppo, è proprio relativo all’alto livello di competenze che l’Industry 4.0 richiede. Eliminando quasi completamente il lavoro manuale, meccanico e ripetitivo di stampo fordista, la nuova produzione vedrà al centro la capacità di progettazione, problem solving e l’alto livello di conoscenze tecniche del lavoratore.

Allo stesso modo la flessibilità garantita dalla nuova catena produttiva consentirà una corrispondente flessibilità negli orari e nei luoghi di lavoro. Attraverso un tablet un operaio potrà controllare l’andamento della produzione ed dare ordini alle macchine per risolvere eventuali problematiche sorte. Non certo una fabbrica senza più lavoratori, ma una fabbrica con all’interno più progettisti e creatori che operai-massa.

Come essere pronti a questo futuro non troppo lontano? Il nodo da sciogliere sul fronte lavoro si chiama formazione. Non a caso gli Usa, pur a fronte di notevoli investimenti in innovazione, questo modello fatica a decollare per mancanza di skills adeguate, e il Dipartimento del lavoro americano sta insistendo con lo sviluppo di programmi di apprendistato in accorto con il Dipartimento dell’Istruzione che intende sviluppare i community colleges. Al contrario il fiore all’occhiello della Industry 4.0 è oggi la Germania, e numerosi report internazionali la prendono come spunto per fornire indicazioni ai governi che vogliono oggi rilanciare l’industria.

È questo un esempio pratico di come non sia più possibile, se mai lo è stato, separare politica industriale, politica del lavoro e politiche educative. Se il motore dello sviluppo del manifatturiero è l’innovazione, è quanto mai necessario avere chi sia in grado di lavorare con strumenti di altissima tecnologia. E tali competenze non si formano soltanto un percorso formativo classico ma richiedono esperienza sul campo. Inutile quindi investire senza farlo prima sulla creazione di competenze dei lavoratori, ed è altrettanto difficile pensare di poter attrarre investimenti stranieri per la stessa ragione.

È quindi una sfida culturale quella che la quarta rivoluzione industriale ci lancia: una nuova idea di lavoro ed un ritorno alla persona come centro di essa. Investire nell’Industry 4.0, detassando le spese per innovazione, o favorendo fiscalmente il back-shoring delle imprese ora delocalizzate serve a poco se non si procede parallelamente allo sviluppo di un sistema formativo che colmi lo skills gap che caratterizza molti paesi Occidentali. Misure come l’apprendistato scolastico, l’apprendistato di ricerca, lo sviluppo degli Istituti Tecnici Superiori non sono quindi meno importanti di politiche volte alla riduzione del costo dell’energia, del costo del lavoro o della burocrazia. Per questo motivo invocare una riflessione sulla visione del lavoro e dell’economia non è un invito a non occuparsi dei problemi concreti perdendosi in ragionamenti fini a sé stessi. Si tratta al contrario di uno sforzo intellettuale programmatico necessario per mettere in atto politiche che non siano solo un tentativo di risolvere problemi contingenti ma che costruiscano un sistema efficace e pronto ad affrontare le trasformazioni in atto.



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