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Che succede a Bazoli e Guzzetti?

Gli Orologiai” di Camilla Conti è una lampada per distinguere le sagome che si muovono nel crepuscolo della finanza dopo che la grande crisi dei mercati e la recessione economica italiana hanno sancito l’inevitabilità di una resa dei conti.

Nell’arena polverosa si muovono ancora loro, i pistoleri che hanno dominato una lunghissima stagione che attraversa la politica della Prima Repubblica per arrivare ai giorni nostri. La finanza con la politica in Italia ha sempre avuto un rapporto simbiotico, incestuoso, frutto dell’assenza di mercati di capitale di modello anglosassone e dell’architettura chiusa che ha visto larga parte del quarto debito pubblico al mondo sottoscritto da istituti di credito domestici. La chiusura del mondo creditizio è poi stata puntellata da strutture peculiari, come il voto capitario nelle banche popolari – in grado di rendere incontendibili queste banche – oppure lo status di azionista forte delle fondazioni uscite dal cilindro dei primi anni ’90 del secolo scorso e divenute l’architrave dell’azionariato bancario.

Nella penombra, si sa, è difficile distinguere cosa accada, ma è certo che finora le banche popolari si sono rivelate una lobby meno potente delle fondazioni. Le prime si sono viste di colpo costrette a mutare in società per azioni e non hanno certo opposto una strenua resistenza in Parlamento all’indomani del decreto legge tirato fuori a sorpresa dall’esecutivo Renzi. Le seconde invece hanno ottenuto di potersi auto-riformare, e anche la previsione di diversificazione nelle partecipazioni bancarie consente loro di mantenere un ruolo significativo nelle banche. D’altra parte basterebbe la presenza delle fondazioni nell’azionariato di Cassa Depositi e Prestiti a testimoniare il ruolo centrale di questi soggetti, la cui presenza sul territorio non può che destare simpatia in un esecutivo autodefinitosi “governo dei sindaci”.

Per le fondazioni, non è Renzi il nemico da cui guardarsi: le insidie arrivano soprattutto dalla capacità di rinnovarsi delle stesse fondazioni. In finanza, come in politica, non esiste l’immortalità (l’immoralità invece abbonda) e tra le colpe della politica della Prima Repubblica c’è senz’altro quella di non aver saputo cooptare giovani in grado di rialzare i partiti dalle macerie di Mani Pulite. Il paragone con i vecchi democristiani e socialisti potrebbe non essere del tutto fuori luogo, visto che molti dei protagonisti del mondo delle fondazioni provengono proprio dal milieu dei partiti della Prima Repubblica. Sapranno cooptare e dare un futuro alle proprie organizzazioni? Chi vivrà, vedrà. Nel frattempo, leggere il cattivissimo “Gli Orologiai” aiuta a formulare qualche pronostico.



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