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Cosa ci insegna la vicenda Germanwings?

In questi giorni abbiamo atteso con trepidazione di conoscere la verità su questa terribile vicenda. Ben 150 persone, tra cui molte ragazze e ragazzi appena adolescenti, hanno perso la vita e altrettante persone ora vivono il dolore profondo per aver perso figli, amici, genitori o conoscenti. Una tragedia che ha colpito tre nazioni: Francia, Germania e Spagna.

Le prime indiscrezioni parlavano di un problema tecnico e qualche assurdo giornalista ha pensato bene di scrivere di ferita all’orgoglio della perfezione industriale dei tedeschi. Come se questi non potessero provare dolore per le decine di vite spezzate. E su questo ho avuto modo già di esprimermi. Poi sono arrivate le allusioni razziste e sciocche della solita politica di basso profilo nostrana, Daniela Santanché, che in un tweet approssimativo si chiedeva quali fossero le “origini dei piloti dell’autobus (??!!!) caduto”. E se l’autobus era un errore del T9 il senso della frase è stato giustificato in un modo ancora più becero e superficiale, non lo ripeto, qui c’è il video.

Se ciò non bastasse, sono arrivati i soliti manipoli di idioti che hanno approfittato della vicenda per fare una bella campagna offensiva contro Cécile Kyenge, in viaggio verso la Nigeria per una missione dell’Unione Europa, con un volo Lufthansa. Anche su questo che possiamo dire? Per quanto mi riguarda, provo vergogna per quelle persone piccole piccole… e ti aspetti che chi ha ruoli di responsabilità non segua la scia del momento per raccattare qualche consenso facile di gente poco seria, invece no… l’immancabile Beppe Grillo ci delizia con una caricatura accompagnata da descrizione macabra del parallelo tra Matteo Renzi e il Co-pilota suicida-omicida della Germanwings. Anche su questo mi sono espresso, dimenticando colpevolmente di citare, tra le porcate che giravano, quella de “Il Giornale” che ha titolato “Schettinen” riferendosi a Lubitz.

Al netto delle tante oscenità dette e fatte in questi giorni da politici, giornalisti e tante gente comune, i capitani coraggiosi che navigano nell’indomabile internet, la vicenda ci insegna molte cose sul modo in cui ci approcciamo alle tragedie, al modo in cui sfruttiamo le tragedie per creare consenso o aumentare gli introiti pubblicitari con qualche click o titolo vergognoso. Ma ci dice anche molto circa il modo in cui noi viviamo.

All’inizio erano quasi tutti certi fosse un attentato e quindi il cattivo del momento doveva essere per forza di cose uno straniero, “che nazionalità hanno?” si chiedeva la Santanché. Poteva poi essere un disastro dovuto ad un problema tecnico e allora alcuni pregustavano l’umiliazione tedesca, per il loro mantra della perfezione industriale. Anche qua, buco nell’acqua. No, il problema era la psiche malata di un uomo solo. Già un uomo solo al comando! Secondo Grillo un parallelo straordinario con la vita degli italiani sotto il Governo Renzi.

Il CEO di Lufthansa interviene in una conferenza stampa dimostrandosi incredulo e si ripete senza sosta “non so come sia potuto accadere”. E sgranella le numerose procedure e i numerosi controlli eseguiti e tutti i feedback positivi sullo stato psico-fisico del Co-Pilota. In questo caso il problema non era prevedibile. Facciamocene una ragione nessuno avrebbe potuto prevedere niente di tutto ciò!

Ora i giornalisti lanciano accuse qua e là, ricostruiscono la vita del Co-Pilota intervistando le ex-fidanzate, alcuni dicono che aveva una sessualità incerta, altri citano nome e cognome dell’ultima fidanzata che pare essere incinta e dicono pure dove abita: e ci viene da chiedersi, ma perché? Cosa c’entrano tutte queste cose con il fatto in sé? Niente, assolutamente niente. Questo è il non-giornalismo, la voglia morbosa e macabra di avere notizie inutili da dare in pasto ad un pubblico sempre più rimbecillito e privo di senso critico. Un pubblico che sbava davanti a notizie superflue e che preferisce farsi film in testa piuttosto che affrontare una semplice realtà: non era prevedibile! Gli psicologi o gli psichiatri saranno anche bravi a capire certe condizioni della mente umana, ma non sono maghi. Non hanno sfere di cristallo: non vedono il futuro!

Ogni giorno ci affidiamo nelle mani degli altri. Ci affidiamo al “sapere esperto” di terzi in ogni istante della nostra vita. Lo facciamo quando prendiamo un ascensore, quando prendiamo un treno, un’automobile, una bicicletta o anche quando usiamo la doccia e il fornello del gas, il forno o qualsiasi altra tecnologia esistente. Viviamo, per citare il grande sociologo tedesco Ulrich Beck, nel rischio ed aggiungo che ogni cosa che accade è la risultante di coincidenze e di scelte. Un groviglio che si può dipanare con il senno di poi (le scienze che studiano i disastri, per esempio lo fanno) ma che non si può prevedere.

In tantissimi hanno problemi psicologici di vario ordine e grado. Depressioni di varia gravità, ma un medico ti prescrive di stare a casa, difficilmente può dire che una persona commetterà un reato o un gesto folle.

L’orgoglio ferito non è quello dei tedeschi, che hanno visto una falla nelle perfette procedure di sicurezza e di verifica dell’idoneità dei piloti. L’orgoglio ferito è quello degli esseri umani in sé, che credono di poter gestire sempre tutto, e di poter arrivare anche a prevedere l’imprevedibile. Di poter essere sempre capaci di fronteggiare gli imprevisti o di trovare sempre risposte perfette.

L’ingegno umano può solo cercare di comprendere e minimizzare i rischi. Ora si vuole un colpevole da condannare per questa tragedia: ma il Co-Pilota è morto assieme agli altri 149 innocenti. Allora è colpa della compagnia area. Ma non è così. La colpa non è di nessuno, se non di chi ha deliberatamente sabotato i sistemi di sicurezza, ingannato i colleghi, e dato la morte a 149 persone più se stesso.

Le soluzioni ipotizzate e che alcune compagnie aeree  vogliono ora applicare sono buone: sempre due persone in cabina e maggiori controlli sullo stato psicologico dei lavoratori. Ideale sarebbe che i medici se riscontrano un grave caso di instabilità, non potendo dire se quella persona compirà o meno una strage, possano comunicare direttamente con l’impresa (almeno per i lavori delicati come quello dei Piloti, dei comandanti di nave o di militari ecc..) parlando del problema specifico di salute mentale. Così che ci sia una condivisione del rischio e della scelta da prendere. Anche in questo caso: minimizziamo i rischi, ma non abbiamo la certezza dell’esito. Tuttavia, cosa accade poi se entrambi i Piloti, per una ragione inspiegabile si chiudono dentro e fanno la stessa cosa del Co-Pilota tedesco di Germanwings? Ne mettiamo tre in cambina? Poi quattro? Capite che si può solo intervenire per minimizzare il pericolo, ma che la soluzione perfetta non esiste? E che è assolutamente inutile incolpare un’organizzazione o le sue procedure?

Non si parla di un gruppo di terroristi, non si parla di uno con precedenti omicidi, non si era nemmeno mai spinto fino al tentativo di suicidio. Tutte informazioni che possono invece farci parlare di un problema organizzativo. Ma qui si parla della malattia mentale di un individuo.

Un pilota Germanwings ha cercato di rassicurare i passeggeri dicendo: anche io ho famiglia, state tranquilli. Nobile gesto, necessario, utile. Ma del tutto insufficiente a garantire un qualche cosa. Anche Lubitz aveva famiglia, pure un figlio in arrivo. E così in tanti altri casi.

Ecco, impariamo da questa vicenda che non siamo infallibili e che non serve cercare un colpevole a tutti i costi al di là di chi davvero ha commesso il fatto.



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