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Tunisi, perché l’attacco terroristico era prevedibile

Riviste, social media, emittenti televisive all news, case di produzione video, stazioni radio. In questi mesi, lo Stato Islamico si è dimostrato capace di una efficace e poliedrica strategia di comunicazione, grazie alla quale ha saputo modulare sapientemente la sua propaganda per raggiungere diversi obiettivi: diffondere il terrore in occidente e nei paesi arabi, convincere nuovi volontari a unirsi al jihad, sguinzagliare e dare precise indicazioni ai cosiddetti “lupi solitari” e consolidare il suo potere.

LE STRATEGIE DI COMUNICAZIONE DELL’ISIS

Ma quali sono le tecniche usate dall’Isis per raggiungere i suoi scopi? Quali i mezzi? Come funziona la propaganda all’interno dei territori del sedicente Califfato? Se n’è parlato ieri sera all’incontro organizzato, nell’ambito nel ciclo “Dentro e oltre ISIS”, dall’Istituto per gli studi di politica internazionale e che è stata l’occasione per presentare l’ebook “Twitter e Jihad, la comunicazione dell’ISIS” a cura di Paolo Magri dell’ISPI e del direttore di RaiNews24 Monica Maggioni. Oltre agli autori, erano presenti alla tavola rotonda Paolo Branca e Marco Lombardi dell’Università Cattolica di Milano.

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LA STRAGE DI TUNISI, COME QUELLA DI CHARLIE HEBDO ERANO ANNUNCIATE

Tra analisi, numeri e commenti, la discussione non poteva non toccare l’attualità e, nello specifico, quanto accaduto a Tunisi, teatro dell’attentato terroristico al museo Bardo proprio per mano dello Stato Islamico: «Tutto ciò che è accaduto finora e oggi a Tunisi – spiega Marco Lombardi – era annunciato nelle comunicazioni diffuse dell’Isis sui suoi media». Nel caso di Charlie Hebdo «già un anno prima sulla rivista Dabiq che riportava la lista nera dei “most wanted”». In questo per il professor Lombardi «c’è molta miopia in Occidente, si ignorano i segnali che lo Stato Islamico non si fa alcun problema a rendere palesi». E allora, chiede provocatoriamente, «di cosa ci si sorprende?». Dello stesso avviso Monica Maggioni che va addirittura indietro di nove anni e spiega: «Alcuni elementi del progetto Isis erano già presenti in Iraq almeno dal 2006, ma sono stati sottostimati».

LA SFISTICAZIONE DELLA STRATEGIA COMUNICATIVA

Del resto per Lombardi «la guerra mediatica è un campo di battaglia» e l’Isis ha basato praticamente tutto sulla comunicazione perché «più la comunicazione è buona e più c’è consapevolezza del target a cui ci si riferisce». Ma non si tratta di un elemento di novità: «È un percorso iniziato dai qeadisti – continua Lombardi – con il sistema “embedded” e portato a un livello di raffinatezza molto alto dallo Stato Islamico, e non soltanto per quel che riguarda gli strumenti di post-produzione». Per Paolo Magri, infatti, «la prima novità della comunicazione di Isis non è la sensibilità mediatica ma la strategia comunicativa complessiva, la capacità di imporre la sua narrativa e la sua terminologia».

L’USO STRUMENTALE DEI TERMINI “CALIFFATO” E “STATO”

Basta pensare al temine “Califfato”, la cui accezione per Paolo Branca è stata capovolta e utilizzata strumentalmente dallo Stato Islamico ai fini della loro strategia di comunicazione: «Il terme “Califfo” viene usato solo due volte nel Corano e mai per designare il successore di Maometto» spiega, «la ricchezza interculturale e interreligiosa del Califfato storico viene banalizzata dall’Isis». L’uso di questo termine così altisonante si spiega con il fatto che l’obiettivo dell’Isis, «che è l’unico gruppo che si dà il nome di uno stato e si comporta come uno stato», spiega Lombardi «è rivolgere una richiesta di obbedienza al mondo jihadista e farsi riconoscere come il primo tra i gruppi terroristici e il primo interlocutore sia a livello interno che esterno». Da questo, ovviamente, «l’Isis tra anche altri benefici secondari, tra cui fare leva sulle paure  dell’Occidente».

LA NORMALIZZAZIONE E L’ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLO STATO ISLAMICO

L’Isis si fa forte del fatto che lo stato nazionale è in crisi, per Branca, che la coalizione anti-Stato Islamico è debole. Così, altro obiettivo della loro comunicazione, «è frammentare i sistemi sociali che gli si oppongono». Lo fa con «video che puntano sul bisogno di normalità dei popoli arabi e sulla loro frustrazione per attirare volontari» e che per Lombardi «tendono, attraverso le testimonianze dei cittadini, a instaurare un clima di normalizzazione e istituzionalizzazione». Perché, per Magri «l’Isis ha l’obiettivo di spaventare i nemici e presentarsi come un gruppo accogliente».

LA FIGURA DI JOHN CANTLIE

Per Lombardi, attraverso l’analisi metodologica dell’utilizzo dei mezzi di comunicazione si può capire l’enorme pericolosità della strategia Isis. Basti pensare alla figura di John Cantlie, «esempio tangibile di come abbiano utilizzato l’agenda mediatica, politica e pubblica occidentale piegandola al loro volere». In poche parole, ciò che lo Stato Islamico fa è «sfruttare paure, fragilità e vulnerabilità della nostra politica e la debolezza dell’etnocentrismo culturale che ci contraddistingue».

I MODI PER FRONTEGGIARE QUESTA MINACCIA

Che fare, allora? Quale comportamento assumere nei confronti di questa minaccia? Per Lombardi «fermare la comunicazione nel mondo è impossibile e anzi controproducente perché studiarne la strategia è l’unico modo per capirli e affrontarli». C’è chi come Monica Maggioni «ha scelto di non mandare più in onda i loro video su Rainews 24 mostrandone soltanto un fotogramma – spiega Branca -, chi fa contro informazione, chi pensa che l’unica risposta possa essere un intervento militare» ma l’unico modo per tener testa allo Stato Islamico è tener conto che abbiamo di fronte «un numero pari a 20.000 persone, perlopiù sprovvedute, che tengono insieme un territorio grande quanto la Gran Bretagna e che dietro tanta violenza non c’è expertise militare ma solo tanta frustrazione». Partendo da questo assunto, per Branca, «dobbiamo inventarci qualcosa senza avere la presunzione di dire che l’Occidente deve risolvere tutto».

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