Gli attentati recenti al Cairo, i disordini a Rio de Janeiro e la serie di colpi terroristici che hanno ferito le città europee di Parigi e Copenhagen all’inizio dell’anno rimettono al centro il tema della sicurezza urbana come questione globale. Non appare dunque slegato dalle vicende dell’attualità il fatto che un gruppo di analisti ed esperti di politica estera si sia riunito, sotto l’egida di Formiche, per discutere dei rischi connessi alla forte urbanizzazione del Sud Globale alla Farnesina nei giorni scorsi.
L’EVENTO
Eppure è ciò che è avvenuto lo scorso 26 febbraio al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ospiti Peter Engelke dell’Atlantic Council e Alessandro Politi della Nato Defense College Foundation. Il tema rientra in una riflessione sul futuro dell’euro-atlantismo, ed è stato completato con uno studio di Formiche che ha individuato proprio nel neourbanesimo globale una delle sfide in grado di unire le migliori espressioni politiche sulle due sponde atlantiche: di qui il titolo del convegno “Urban World and Western Interests“.
IL NUOVO ARCO DI CRISI
Uno degli aspetti messi in luce è il ruolo che la città può avere come fonte di crescita e sviluppo economico-sociale sulla linea di faglia Nord-Sud, la stessa che è oggi in fiamme da Nauckhott in Mauritania a Kiev in Ucraina. Questa potrebbe divenire una “cintura di stabilizzazione” dell’Occidente euro atlantico: si pensi al ruolo chiave che ha il Marocco rispetto tanto a Washington quanto a Bruxelles. Tuttavia una serie di fenomeni preme su questo arco di crisi rendendo più probabile lo scenario di una corona di “failed cities” (città fallite), in grado di mettere in ginocchio il mercato mondiale, come prospettato qualche anno fa da David Kilcullen.
I BARBARI DENTRO LE PORTE
Proprio il ruolo crescente delle città, come snodi sempre più autonomi da logiche statali, mette in campo la necessità di una risposta di sicurezza. Il rischio di una débacle messicana, a pochi chilometri dalle frontiere statunitensi, è un forte richiamo alla necessità di ripensare i fenomeni di urbanizzazione massiccia e selvaggia. Il Paese è dilaniato da una guerra dei cartelli di droga che vede nelle città gli snodi essenziali e i terreni di scontro, città che lo Stato sembra incapace di riconquistare. Un problema che si accrescerebbe a dismisura se intensificasse, all’interno dell’Occidente, la logica etnoreligiosa di separatezza e ghettizzazione.
IL RUOLO DEGLI USA
Anche se, come sottolineato dallo stesso Engelke, a uno stato nascente, il dibattito americano sulle conseguenze strategiche dell’urbanizzazione è più avanzato di quello europeo, che tende a vedere i fenomeni geopolitici sullo sfondo di dinamiche regionali classiche. Non solo Atlantic Council ma anche Brookings Institution, Rand e American Enterprise Institute vi partecipano. Il Global Trends 2030 del National Intelligence Council aveva l’urbanesimo come asse centrale dei vari scenari delineati.
IL CICLO DELLE CITTÀ
L’anno scorso l’ex segretario di Stato Strove Talbott ha indicato alla Conferenza di Monaco l’importanza e il ruolo delle rivolte urbane della classe media, dal Cairo a Kiev passando per San Paolo in Brasile e Istanbul in Turchia. A causa di complicazioni etnoreligiose e del pesante intervento di potenze straniere in alcuni segmenti dell’arco di crisi (Libia e Siria) questa dinamica di insurrezione urbana è implosa, ma la linea di direzione emersa negli ultimi anni continua a rivestire grande interesse strategico e militare.
UNA DIPLOMAZIA PER L’ERA URBANA
Città instabili che al tempo stesso sono gangli vitali del mercato, spesso vicino a correnti di traffico mondiale, necessariamente richiamano l’attenzione dei diplomatici. L’auspicio rivolto dall’esperto dell’Atlantic Council è che si cominci non solo a ragionare, ma anche ad agire in una logica State-to-cities, formando e organizzando il servizio diplomatico Usa in modo da interfacciarsi direttamente con attori non-statali. Si tratta di un’opportunità strategica per la quale gli Usa per la loro storia sono particolarmente adatti. Anche l’Italia lo è, in virtù della tradizione urbana (di un urbanesimo mite, come sottolineato al tavolo da vari esperti), della capacità di mantenere un reticolo di medie e piccole città. Una tradizione che oggi guarda alla smart city nella relazione con il territorio, come emerge dalle intenzioni di Expo 2015.