Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Cesare Maffi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
Marcia trionfale contro marcia funebre. Di rado si assiste a una divisione così netta nella stampa, come avvenuto ieri a proposito della sentenza della Cassazione su Silvio Berlusconi. Il «visto da destra» e il «visto da sinistra» si estrinseca perfettamente, tenuto conto di un fattore di tempi: il collegio aveva ultimato i lavori quasi alla mezzanotte di martedì, cosicché mercoledì i non molti giornali che avevano potuto darne notizia si erano limitati a ribattute di titoli, con pochi commenti, riscritti a tambur battente.
Così ieri la notizia portante, ancorché teoricamente invecchiata, era l’assoluzione.
Un coro gioioso, naturalmente, a destra, ma diverse le tecniche. Il Giornale si sfoga contro Ilda Boccassini («Questa donna ha distrutto il Paese. Ma resterà impunita»). Libero preferisce insistere sui costi del processo, denunciando addirittura «un bunga bunga da 500 miliardi», costi derivanti dall’abbandono forzato di palazzo Chigi, conseguenza del discredito in cui era stato gettato il Cav. Sulle «spese del Bunga Boomerang»si sofferma pure Il Tempo, che le quantifica però in quelle processuali (mezzo milione di euro). Inattesamente, piazza in apertura un’intervista al nemicissimo di B., Marco Travaglio, proteso a sostenere le ragioni dei procuratori. Il Foglio ironizza (come altri) sul titolo scelto il giorno prima da la Repubblica («La Cassazione salva Berlusconi»), mentre nell’editoriale «Colpevole d’innocenza» attacca il Corriere della Sera per gli scarsamente neutrali commenti apparsi per opera dei redattori giudiziari.
Tanto di cappello al manifesto, felice (come spesso) per il titolo scelto a illustrare la prima: «Cucù», sopra la foto del soddisfatto Cav. Le lacrime del Fatto Quotidiano (che evita gli spazi, specie in prima, che sarebbero stati riservati a una sentenza di rinvio all’Appello) sono sparse dal direttore Travaglio, il quale se la prende con alcune novelle della legge Severino (ribattezzata «legge Sederino»), che avrebbero favorito l’assoluzione del Cav. È la tesi sostenuta da Gianni Barbacetto: «La Procura rimasta senza reato». Quanto a la Repubblica, l’editoriale di Ezio Mauro tracima livore e disdetta, per «l’amnesia» che colpirebbe chi scorda la condanna per frode fiscale e le «bugie irrilevanti giudiziariamente, pesanti politicamente». A favore dell’amata Procura milanese sta un servizio interno («L’inchiesta andava fatta e il Ruby ter si rafforza»).
Svariati quotidiani (Corriere, Messaggero, Stampa) intervistano Franco Coppi, impegnato a precisare i termini rigorosamente giuridici della questione, limitando il reale oggetto della sentenza. Notevoli alcune sue salaci battute, con venature ironiche sui passatempi di Arcore («difficile dimostrare che si parlasse di Dante o di Benedetto Croce»). A via Solferino non c’è molta soddisfazione per l’esito del processo, ma il commento cardine, nell’articolo di fondo, è politico: Antonio Polito denuncia i giustizialisti, ma ritiene improprio che le difficoltà di Fi e centro-destra siano risolti.
Pure La Stampa non è contenta: se da un lato si insiste sui problemi politici («cade l’alibi dei processi«), Massimo Gramellini nel corsivo è acido («L’uomo è salvo, ma il mito è perduto»). Non casualmente è intervistato il giudice della Corte d’appello che si dimise dopo la sentenza assolutoria, in palese e del tutto insolito dissenso con il collegio che l’aveva messo in minoranza.
I giornali del Quotidiano Nazionale sono più sereni: basti dire che intervistano Marco Pannella, il quale paragona B. a Tortora. L’Avvenire è in linea con la propria natura di quotidiano dei vescovi: scarsa attenzione all’evento, col direttore Marco Tarquinio che in risposta a una lettera, tratta degli «aspetti morali non cancellati». Se Il Messaggero si sofferma sulle conseguenze politiche, il confratello Mattino pubblica un fondo di Massimo Adinolfi dal titolo parlante: «Morale e diritto il divorzio necessario».