Oggi al Senato verrà votata la legge sul “divorzio breve”. Se verrà approvata (come è probabile), la separazione consensuale durerà non più di sei mesi e quella giudiziale non più di un anno, anche in presenza di figli minorenni. Un provvedimento atteso da decenni, che ricalca le norme in vigore in altri Paesi europei (e in altri continenti). Si tratta di una svolta importante anche sul piano culturale, destinata a cambiare mentalità e costumi degli italiani.
Tutto bene, dunque? Sì, ma fino a un certo punto. “Tutte le famiglie felici sono simili, ma ogni famiglia infelice è invece infelice a modo suo”: inizia così il romanzo di Lev Tolstoj “Anna Karenina”. Non sono in grado di smentire o confermare questa affermazione. Molti studiosi e analisti del divorzio, tuttavia, l’hanno considerata vera per lungo tempo.
Forse perché hanno trascurato cosa succede alla famiglie con figli dopo la separazione dei genitori. Forse perché convinti che, se lo scioglimento del matrimonio segue procedure prestabilite, quanto accade poi si sottrae a ogni logica, dipende cioè dai capricci del destino.
Solo che il divorzio non è un evento, ma un processo. Se è indubbio che esso vanta al suo attivo la possibilità di mettere fine a rapporti non più sostenibili, resta da dimostrare che il bilancio costi-benefici si mantenga positivo per i figli dopo la rottura tra i coniugi.
In questo senso, mi pare assai saggio il giudizio sulla filosofia della nuova legge espresso nella primavera dell’anno scorso dal presidente della “sezione famiglia” del Tribunale di Milano, Gloria Servetti. Vale a dire: quando c’è un reale accordo tra le parti pochi mesi sono sufficienti, e si può perfino immaginare il divorzio diretto nel caso di matrimoni brevissimi tra persone giovani e senza prole. Ma quando la separazione è soggetta a un forte contenzioso, un anno può non bastare. La norma sul “divorzio breve”, insomma, la capisco e in parte la condivido. Capisco meno l’entusiasmo per le magnifiche sorti e progressive della trionfante “civiltà amatrimoniale”.
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Ho scoperto che Kurt Gödel, il più grande logico di tutti i tempi insieme ad Aristotele, Gottfried Leibniz, David Hilbert e Alan Turing, credeva negli spiriti (Pierre Cassou-Noguès, “I demoni di Gödel”, Bruno Mondadori, 2008). Si parva licet, allora anch’io posso credere nei miracoli di Matteo Renzi.