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Il passo della Chiesa e quello (non fatto) della politica

Non nascondo l’emozione e la tristezza provate nel vedere sui giornali la foto di una malata terminale che ha espresso come sua ultima volontà quella di rivedere i quadri di Rembrandt come “l’ultimo respiro di bellezza prima di morire”.

Siamo arrivati, come società, a questo punto? Dov’è finito il senso della famiglia, della religione (qualunque essa sia), dell’amicizia, se è questo il desiderio estremo che si pronuncia prima di lasciare questo mondo?

Una volta erano i familiari, i vicini di casa, gli amici, che circondavano gli ammalati con il loro affetto. Siamo giunti a un punto in cui, non essendo più così, ci si rifugia in un museo per rivedere attraverso le opere d’arte già ammirate in precedenza, il proprio passato, i propri ricordi di una vita vissuta prima di abbandonarla.

Siamo o non siamo tutti responsabili di questo stato di cose? La Chiesa da tempo e oggi ancor più con Papa Francesco ha compreso l’aridità imperante nei rapporti interpersonali e familiari e si è immediatamente adeguata con messaggi simbolici e comportamentali per ridare valori, ideali, non solo religiosi, ai credenti e non.

La politica, invece, stenta, si accartoccia su se stessa, non propone più modelli ideali, certo adeguati ai nuovi costumi, alle nuove necessità, ma comunque validi nella loro universalità.

Anche a noi verrebbe da pronunciare, con lo stesso sconsolato sentimento e trasporto, la famosa esclamazione di Cicerone nel deplorare la perfidia e la corruzione dei suoi tempi: “O tempora, o mores!”.

Potito Salatto, vicepresidente nazionale dei Popolari per l’Italia, membro del bureau PPE a Bruxelles



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