#ioleggoperche non avrebbe senso scrivere senza leggere.
#ioleggoperche il libro è un mezzo di comunicazione. Come diceva Italo Calvino, in Se una notte d’inverno un viaggiatore.
Ma leggo ciò che in una qualche misura mi spinge a cambiare il (mio) mondo, devo dire la verità, non leggo tutto, non sono come coloro a cui dici che canzone ti piace: “a me piace tutta la musica”. No, a me piacciono i libri ma quei libri, quegli autori. Sì perché oggi il libro è arredamento in un negozio, è il messaggio subliminale nella pubblicità, è una dichiarazione d’amore, è un manifesto, è uno stile di vita (amo le biblioteche, ascoltare i libri, sfogliare volumi interi, collezionare letture ad alta voce, partecipare agli eventi e maratone della Bibbia, del Don Chisciotte, de Il capitale se si organizzassero). Ma… non amo, seppur come tutti i lettori l’ho fatto, isolarmi, usare il libro come rifugio, come immersione in un mondo altro, acculturarmi al solo fine di essere migliore di qualcuno, questo anche a scuola (per me traviata da una lettura…questo per me) non era la scuola, il sapere, il fine dei libri. E il libro in questione non poteva che essere Lettera per email a una professoressa. Che si schierava duramente contro l’egoismo del lettore, di quello studente che pure sembrasse il migliore della classe, isolato nel pomeriggio e nelle sera in cameretta a leggere senza alcun ritorno nel mondo, nel quotidiano, tra gli amici, di quanto di bello avesse appreso. E così chi tra noi non ha usato il libro come mezzo di trasporto, una fuga low cost verso paradisi, anche solo per spostarsi dalla campagna alla città, o persino dal mare alle atmosfere della protagonista un po’ angosciata di La bella estate, di Cesare Pavese.
L’angoscia, l’inquietudine, la nostalgia, il vorrei ma non posso, i tanti se, e a volte i diversi sé. Una via di fuga, diciamolo chiaramente il libro è una via di fuga. In tante circostanze, oggi quasi mai a scuola, l’unico luogo in cui l’obbligo dei libri ha allentato quella relazione.
E poi i libri che non mi muovono passioni sociali hanno per me, su di me il difetto di creare un sentire parallelo, una idea d’amore diversa da quella che si può vivere, una idea di vita diversa da quella che si può scegliere, ma in un giovane questo non può non deve accadere, non può nel pieno delle sue forze, delle sue passioni, delle sue energie, dei suoi sogni, delle aspirazioni, cercare e trovare in un libro quel tormento, quell’ appagamento, quella soddisfazione se non per poi cercarla, trovarla, ambirla, scatenarla nel suo vivere. Inibirla, invece talora. E a tutte le età.
Sarebbe frustante accettare che il luogo dello sfogo resti in quei centimetri di una pagina.
Non che ciò non mi sia successo. Che non accada regolarmente ai più assidui dei lettori, così pure come al pubblico delle telenovela, insomma qualcuno come non si usa più da anni vorrebbe fare la paternale tra la cultura alta e la cultura bassa? Magari tra i libri apocalittici e quelli integrati?
Vorrebbe indicare il bene e il male? L’utile dal futile, il commerciale dal commensale, l’eccitante dal represso, la collettività dalla solitudine.
Si dirà ancora, purché legga. No, perché un libro a prescindere dai contenuti, dovrebbe valere di più di un’altra azione, per esempio il volontariato?
Oggi ho capito che i peggior nemici della diffusione dei libri sono stati gli editori, i ricchi con la biblioteca e i quadri in casa e loro, i diffusori del dolore in Manzoni e Leopardi” come scriveva benissimo Domenico Starnone.
Oggi se aumenterà un solo lettore con il mio articolo sarò forte per affrontare tutti gli altri che ho fatto infuriare, buona lettura.