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Israele verso una grande coalizione?

Sono circa 20 i partiti minori che a causa della nuova soglia elettorale sono stati bloccati alle parlamentari israeliane del prossimo 17 marzo.

Si tratta di elezioni anticipate, convocate dopo lo scioglimento del terzo governo Nethanyau a seguito di una forte crisi di fiducia con il Ministro delle Finanze, Yair Lapid e il Ministro della Giustizia, Tzipi Livni.

Dal giorno dello scioglimento del governo – dicembre 2014 – ad oggi la situazione sul campo è evoluta a sfavore del Likud, il partito di Nethanyau.

In un primo momento il premier aveva pensato di avere un quarto mandato già in mano e di poter ottenere un parlamento maggiormente compatto grazie all’unione dell’estrema destra nazional-religiosa di Naftali Bennet con i partiti religiosi aschenaziti e sefarditi.

A distanza di tre mesi il quadro politico si è però complicato e nel centro-sinistra è emersa una nuova energica coalizione.

HERZOG SPOSTA A DESTRA LA SINISTRA

Dopo essersi assicurato la leadership nelle primarie tenutesi nel partito laburista lo scorso 21 novembre, Yitzhak Herzog, erede di un’importante dinastia politica israeliana già paragonata ai “Kennedy”- ha deciso di correre alle elezioni fondando un nuovo partito – l’Unione sionista – con la fusione di ha-Tnuah (Il movimento), costola del vecchio Kadima (Avanti) di Ariel Sharon.

Herzog, in altri termini, ha spostato il partito “a destra”. Seguendo il proprio elettorato, ha aperto a forze fuoriuscite dal Likud, ma che condividono la necessità di pervenire a un accordo con l’Autorità nazionale palestinese (Anp) di trovare una soluzione definitiva per Gaza e di non incentivare la costruzione di nuove colonie.

Il motto di Herzog è quello della “normalizzazione”. Il leader dell’Unione sionista e neo-candidato premier, in rotazione con la collega Tzipi Livni, afferma di voler trasformare Israele nell’arco di un solo anno in un “paese equilibrato, calmo, sano e sanato (nelle sue ferite)”.
Si oppone, così facendo, all’isteria collettiva in cui Nethanyau avrebbe gettato Israele non soltanto enfatizzando la minaccia nucleare iraniana per fini politici personali, ma anche erigendo un muro di incomprensione e diffidenza con i paesi arabi moderati e con la stessa leadership palestinese.

Anche se l’Unione sionista afferma di avere a cuore i problemi socio-economici del paese, i temi sociali sono solo ai margini della sua agenda. Questa punta piuttosto a risolvere le tensioni con l’amministrazione statunitense e a tentare l’avvio di un nuovo accordo di pace ad interim con l’Anp.

Ha, dunque, ragione Herzog quando sostiene che votare per l’Unione sionista significhi votare per il defunto premier Yitzhak Rabin, riallacciando un filo ideale con la stagione degli Accordi di Oslo.

IN MARCIA CONTRO NETANYAHU

Il 7 marzo, inoltre, a Tel Aviv si è tenuta un’importante manifestazione contro il premier uscente: importante non tanto nei numeri (30 mila persone secondo la polizia, 50 mila secondo gli organizzatori), quanto nella composizione sociale (non una manifestazione di militanti di sinistra afferenti al Meretz o a partiti non-sionisti, ma forze eterogenee della società civile) e nell’ampia rappresentatività delle personalità coinvolte.

Protagonista indiscusso ne è stato Meir Dagan, ex capo del Mossad e voce autorevole dell’establishment della sicurezza, oggi in aperta contestazione di Nethanyau.

Alla manifestazione hanno partecipato anche alcune vedove di soldati e ufficiali morti nella recente offensiva a Gaza. Queste lamentano l’inutilità della morte dei propri cari, che non è servita a stemperare l’eventualità di nuovi attacchi o lanci di missili da parte di Hamas.
Tra le forze completamente ostili a un quarto governo Nethanyau vi è anche lo schieramento rappresentato dalla coalizione dei partiti arabi che per la prima volta si presenteranno alle elezioni con un fronte e una leadership comune.

A ragione, dunque, Nethanyau ha confessato, in uno sfogo sul quotidiano Israel Hayom, gratuitamente distribuito in tutte le città e tradizionalmente associato al Likud, che esiste una campagna contro di lui che assomma uno schieramento imponente di forze, unito soltanto dall’obiettivo di sventare un suo quarto governo: uno schieramento che raccoglie gli ex-Laburisti e i loro appoggi stranieri (soprattutto degli ebreo-statunitensi vicini ai democratici), gli incalliti di sinistra (Meretz), i kibbutznikim e i loro nuovi alleati nella classe media (Yesh Atid) e adesso perfino i partiti arabi, tradizionalmente assenti dalla competizione.

ISRAELE VERSO UNA GRANDE UNIONE NAZIONALE?

Se le previsioni dei sondaggi sono giuste, le “forze di centro-sinistra” starebbero per superare la coalizione di destra di ben 3 seggi, abbastanza per assicurarsi la formazione del nuovo governo.
Tuttavia è bene considerare questi sondaggi e l’apparente regresso del Likud con prudenza.

Innanzitutto, la campagna di demonizzazione del premier potrebbe anche rovesciarsi a suo favore, assicurandogli una parte dei voti degli indecisi e di chi ritiene che l’Unione sionista sia troppo apertamente sostenuta dall’estero (gli Stati Uniti in primis), ma anche di coloro che, come pure rivelano gli ultimi sondaggi, ritengono sempre Nethanyau il leader più autorevole per affrontare le sfide di sicurezza che attendono il paese (IDI Survey, 34,4% contro il 17,7% di Herzog).

Occorrerà attendere i risultati definitivi, ma sicuramente la sfida si giocherà su uno scarto di pochi seggi (approssimativamente 2 o 3) e non sono escluse a loro volta coalizioni post-elettorali tra i due partiti di maggioranza, ovvero una grande unione nazionale.

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Claudia De Martino è ricercatrice presso UNIMED, Roma.


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