fonte: ilcorsaro.info
In questi giorni in Europa cresce e si propaga il dibattito sulla vicenda greca. Com’è noto, il nuovo governo ha deciso di ripudiare gli accordi con la Troika, che, nel 2010, ha stanziato un fondo di 110 miliardi di euro per salvare il sistema finanziario ellenico, imponendo onerose e invasive condizionalità, con gravi ricadute sul tessuto sociale produttivo del Paese. I sostenitori dell’austerità europea non hanno esitato a dichiarare assurde e miopi le rivendicazioni di Tsipras e i suoi, che, dal canto loro, non hanno alcuna intenzione di tradire la fiducia di chi ha delegato loro le proprie speranze per un futuro migliore. Il vero problema non sono né la Troika né l’austerità, sostiene l’establishmentdi Bruxelles, ma la storica recalcitranza dei Greci ad obbedire alle regole della comunità internazionale, all’insegna di un malcostume politico che affonda le sue radici già nel tardo Ottocento.
Poche centinaia di chilometri ad est della Grecia si trova l’isola di Cipro, legata a doppio filo alle vicende elleniche sin dall’antichità, e, suo malgrado, laboratorio delle politiche di salvataggio europee. Nel marzo del 2013, Cipro, attanagliata dal rischio di default sul debito, con la popolazione in preda alla corsa agli sportelli e spaventata dalle minacce di credit crunch, è ricorsa alle ricette di cura made in Bruxelles con esiti, come vedremo, interessanti per la vicenda greca.
Prima dello scoppio della crisi economica, Cipro ha costituito un perfetto esempio di un’economia artificialmente gonfiata dalle transazioni speculative globali e pronta a deflagrare. Entrata a far parte dell’area Euro dal 2008, l’isola è sempre stata una delle mete preferite di banche e fondi d’investimento, dove portare capitali svincolati da inadempimenti e restrizioni di tipo fiscale. Tra i clienti più assidui annoveriamo Russia, Germania e Gran Bretagna. Per avere un’idea quantitativa della grandezza del fenomeno, possiamo confrontare il valore delle attività finanziarie bancarie con il prodotto interno lordo del Paese. Pur tenendo in considerazione che l’economia cipriota non è di certo nota per la sua forza produttiva, l’entità degli asset finanziari ammontava circa all’800% del Pil.
Dopo la ristrutturazione del debito greco nel 2011, le banche cipriote sono improvvisamente state travolte dalle inquietudini della finanza internazionale. Dopo il fallimento di Lehman Brothers tutti sapevano benissimo che l’ipertrofia delle rete finanziaria internazionale si basava su fondamenta decisamente troppo labili per poter stare in piedi in eterno, e il giocattolo cipriota, esposto com’era nei confronti della Grecia, ha improvvisamente visto evaporare una cospicua parte dei suoi attivi finanziari verso la penisola ellenica con inevitabili contraccolpi sulla tenuta generale del suo fragile eden bancario.
Una volta scoperchiatosi il vaso di Pandora, la Bce e l’Eurogruppo, servendosi delle leve del Meccanismo di Stabilità introdotto nel 2011, hanno stanziato un fondo di 10 miliardi di euro per il salvataggio delle banche del Paese. L’ondata di liquidità, esattamente come accaduto dal 2010 in poi con la Grecia, aveva l’obiettivo di garantire la solvibilità degli istituti finanziari del Paese. L’elargizione degli aiuti è stata tuttavia subordinata all’immediato contropagamento di 5,8 miliardi di euro da parte di Cipro, cifra raccolta attraverso la discussissima introduzione di unprelievo forzoso sui conti correnti aperti dai risparmiatori nazionali e non presso le banche cipriote. In un primo momento era stata avanzata una proposta che prevedeva l’imposizione di una tassa del 9,9% su tutti i conti correnti del Paese, ma, dopo il rifiuto del Parlamento, il Governo e la Troika hanno concordato un prelievo solo sui conti correnti della Bank of Cyprus superiori ai 100.000 euro, lasciando così intonsi i depositi presso le altre banche. Contestualmente il Parlamento cipriota ha approvato un pacchetto di misure restrittive sulla libertà di circolazione dei capitali per permettere l’applicazione della misura. Il piano della Troika ha funzionato come segue: Laiki Bank, la Banca Popolare più grande del paese, è stata divisa in una bad bank e in una good bank. La prima serviva a liquidare attività finanziarie tossiche per 4,2 miliardi di euro – fondi reperiti grazie al prelievo sui conti correnti superiori a 100.000 euro e a spese degli azionisti e degli obbligazionisti della banca – , la seconda serviva a raccogliere i 10 miliardi dell’Ue e farli confluire presso la Cyprus Bank, l’altro grande gruppo del Paese, che ha eliminato circa 1,6 miliardi di asset tossici tramite il prelievo forzoso a spese dei correntisti con più di 100.000 euro sul proprio conto. Nell’ottica della Troika questa manovra di ingegneria finanziaria avrebbe ripristinato l’ordine nel mercato del credito e avrebbe permesso al paese di ripartire sotto la sua egida. Ciò, a ben vedere, non è molto dissimile da quello che si dice oggi con le banche greche.
Cosa ne è oggi di Cipro? Il memorandum della Troika, presentato come una misura tanto dolorosa eppure così necessaria, prevedeva la riduzione dei dipendenti del settore pubblico, le privatizzazioni dei telefoni, dell’elettricità e dei porti (realizzate a marzo 2014), l’aumento delle tasse e l’innalzamento delle imposte sulle società dal 10% al 12,5%. Un anno fa il Financial Times sottolineava che nell’isola è rimasta solo una zombie bank, un «mostro che cammina», con 19 miliardi di debiti a fronte di una produzione economica di circa 16 miliardi di euro. Laiki Bank continua a boccheggiare e a non vedersi restituiti molti dei prestiti erogati ad un settore imprenditoriale sempre meno solido e meno produttivo. Non si può ignorare che il paese abbia compiuto alcuni passi avanti dal punto di vista della regolamentazione bancaria, soprattutto grazie al rafforzamento dei poteri dell’EBA, e del sistema fiscale, ma non possiamo nemmeno dimenticare che, nonostante ciò, i bond ciprioti – unici assieme a quelli greci – non sono stati ricompresi nel Quantitative Easing di Draghi a causa del loro basso rating. La crescita del Pil, dal -6% del secondo trimestre del 2013 ha visto una spinta verso l’alto, ma nel primo trimestre del 2015 si pone ancora in campo negativo attorno al -2%; da gennaio 2011 ad oggi il tasso di disoccupazione è aumentato di circa 10 punti passando dal 6% al 16% circa, mentre il tasso di disoccupazione giovanile è passato dal 20% al 32% circa. Lasciando ai lettori più coraggiosi il compito di guardare le altre nere statistiche sul paese, penso che questo possa bastare a dare un’idea della mancata realizzazione degli obiettivi che avevano guidato il varo del piano della Troika.
Quali implicazioni di politica economica ha l’esperienza cipriota nei confronti della Grecia? Entrambe le economie sono state accumunate da una crescita insostenibile dell’esposizione finanziaria sui mercati dei capitali a breve termine e lo scoppio della bolla finanziaria (dunque una crisi del settore privato) ha travolto anche un settore pubblico non esattamente ferreo e impreparato ad affrontare emergenze del genere. Entrambi i paesi sono stati inondati di liquidità made in Troika con tutte le rigide condizionalità connesse e nessuno dei due ha potuto sfruttare queste risorse per fini produttivi: gli aiuti-partite-di-giro hanno salvato il debito privato, cioè il credito nordeuropeo, e hanno gonfiato di conseguenza il debito del settore pubblico. In entrambi gli stati la ripresa si è fatta attendere per molto tempo, e i piccoli progressi in termini di Pil sembra che siano più che compensati dalla gravità della situazione in termini sociali ed occupazionali.
Alla luce di quanto detto fino ad ora, in concordanza con quanto sostenuto da una parte cospicua ed eminente della comunità economica internazionale (leggi quie qui), alla Grecia e a Cipro non servono nuovi aiuti finanziari, ma un programma di sviluppo economico politicamente sostenibile e volto al benessere sociale dei cittadini.
Per questo motivo il prossimo 4 e 5 marzo, durante la riunione del Board della Bce a Nicosia, la piattaforma «Society reacts and asserts» ha deciso di organizzare una mobilitazione sociale contro le politiche di austerità della Bce e della Troika. All’incontro sono stati invitati tutti i sindacati e le organizzazioni europee che condividono le istanze della piattaforma al fine di creare una rete sociale europea contraria all’austerità e, auspicabilmente, in grado di evitare che la Grecia diventi una «Cipro dopo l’esperienza cipriota».