Erano gli anni Novanta. La prima volta, arrivammo a Singapore di buon mattino dopo un volo di alcune ore proveniente da Bali. L’autista incaricato dal tour operator ci attendeva agli arrivi internazionali di un aeroporto che appariva come una sorta di luna park, un mondo nuovo avveniristico rispetto a Malpensa da dove eravamo partiti qualche settimana prima. Eravamo ansiosi di visitare quella città Stato, quella di cui avevamo letto era curata e linda come un giardino, persino curiosi di vedere i posacenere lungo quelle vie così pulite dove la legge vietava di gettare a terra persino la cenere delle sigarette, pena multe salate.
Non potevo immaginare lo stupore più grande di quella prima giornata a Singapore che mi aspettava in albergo. Avevamo scelto di soggiornare in una icona del periodo coloniale inglese, quel Raffles Hotel così ricco di storia. Per quanto suggestivo negli arredi, nulla di paragonabile allo stupore che provai una volta giunti in camera, mentre mia moglie con molta generosità si occupava della nostra allora giovanissima figlia. Accesi la tv e mi ritrovai ad ascoltare in inglese il discorso in Parlamento di un certo Mr. Lee sui numeri consuntivi della legge finanziaria e le azioni conseguenti. Ebbene, la gestione precedente aveva consentito un risparmio di spesa rispetto a quanto ipotizzato dal governo che aveva pertanto deciso di restituire ai cittadini una quota parte rispetto a quanto avevano versato in tasse.
Confesso che la prima sensazione fu quella di essere stato tradito dal mio inglese nella comprensione delle parole, riserva che fu subito sciolta dai commenti di mia moglie – inglese da qualche anno allora trapiantata in Italia – mi chiedeva se una cosa del genere ritenessi fosse possibile anche nel nostro Paese. Quindi, era la conferma che avevo ben capito.
Ebbi poi modo di approfondire la conoscenza della storia di Singapore e di quel leader decisionista ed autoritario, di come aveva saputo trasformare una stazione di posta in una ricca città anche con metodi che molti da noi definirebbero poco democratici. Nei giorni successivi, mi raccontarono che aveva saputo imporre l’ordine e pulizia insegnando ai cittadini a non sputare per terra e – mi si perdoni ma non trovo traduzione che renda meglio l’idea – letteralmente “a pisciare nel cesso”.
E quel taxista di origine malese che mi raccontava di come viveva bene a Singapore. Alle mie domande sul reale livello di libertà che un regime di fatto solo all’apparenza democratico garantiva al popolo, rispondeva in modo sereno e stupito che il benessere generalizzato del popolo è il primo obiettivo di un leader e la migliore espressione delle libertà per una nazione.
A distanza di anni, quel semplice ragionamento è ancora così distante dal pensiero occidentale. Ieri quel leader definito dal Presidente americano Obama come un visionario, Mr Lee Kuan Yew, è mancato. Ma Singapore, grazie alla sua visione, è diventata e rimane una ricca città giardino.