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L’inclusione sociale come leva per lo sviluppo economico e sociale

(dalla traccia del mio intervento alla Direzione Nazionale di Italia Unica del 28 febbraio 2015)
Caro Corrado, cari amici,
nella percezione comune, Corrado è unanimemente ricordato per essere stato innanzitutto un banchiere. I banchieri si sa, hanno a che fare con il denaro, con la finanza e con tutto ciò che ciò comporta. Non sempre si riesce però a cogliere l’importanza e la ricchezza che l’esperienza di Corrado porta nella nostra proposta politica. Dobbiamo perciò riuscire a tradurre in positivo tale percezione puntando proprio sulla credibilità che Corrado riscuote in relazione ai temi economici. Poiché i cittadini votano sempre più guardando alle proprie tasche, credo che sia proprio questo il taglio che dovremmo dare alla nostra iniziativa politica e programmatica. A patto, però, di non fermarci solo a questo. Partendo dal problema economico, infatti, se sapremo valicarne i confini parlando al cuore dei cittadini ed offrendo una visione complessiva della società coerente con le ricette economiche che proponiamo, potremo capitalizzare l’elevata riconoscibilità di Corrado in voti reali, e cioè in un’adesione convinta a quel progetto complessivo per il Paese di cui Italia Unica vuole farsi portatrice.
La mera dimensione economica però non basta. Dicevo, infatti, che dobbiamo saper parlare al cuore dei cittadini. Credo che il cantiere programmatico di Italia Unica contenga la risposta a tale necessità nella parte in cui dedica una forte attenzione al tema dell’inclusione sociale come leva per lo sviluppo e la crescita economica. Non a caso, nei mesi scorsi Luca Bolognini è più volte intervenuto stimolando la riflessione introducendo il concetto di ‘merito solidale’.
Nel Paese e’ forte la percezione dell’impotenza e della sfiducia rispetto al futuro. Ciò è in particolare sentito nelle fasce più deboli della società, quelle cioè che non beneficiano di quelle relazioni sociali (quelle che comunemente chiamiamo ‘raccomandazioni’ o agevolazione di altro genere) in grado di compensare il grado di sfiducia che impera nella società e, contro le quali si scontrano ahimè le ambizioni di molti giovani.
Si tratta, probabilmente, di una fascia di popolazione con cui non abbiamo ancora avviato stabilmente un dialogo ma che, se vogliamo candidarci a governare il Paese, dobbiamo intercettare comprendendone ed interpretandone le difficoltà, nel tentativo di fornire loro risposte credibili. In altre parole, dobbiamo sforzarci di far comprendere che i temi della difesa della libertà economica e della promozione della concorrenza in tutti i campi dell’azione umana, da intendersi quale strumento irrinunciabile per il coordinamento dei fini individuali, sono centrali non solo sotto il profilo crescita economica del Paese ma, nella misura in cui permettono l’inclusione sociale, rappresentano la chiave di un modello di sviluppo economico e sociale coerente con l’esigenza di maggiore competitività da perseguire (attraverso una profonda ristrutturazione del nostro sistema imprenditoriale) nel rispetto dei vincoli finanziari europei, senza dimenticare ed anzi assicurando quella dose di protezione e di mobilità sociale in grado di rimettere in moto il Paese.
L’idea a cui alludo è che per fare il salto di qualità, abbiamo necessità di trasformare la nostra cornice istituzionale (in cui convivono regole, prassi, comportamenti, cultura e sistemi valoriali), rompendo il patto delle oligarchie che operano nel pubblico e nel privato e che rendono fortemente estrattivi i caratteri delle nostre istituzioni. Proprio in virtù della loro esistenza è forte, negli italiani, la sensazione che, per intraprendere qualsiasi progetto, occorra chiedere il permesso a qualcuno e da qui deriva, inevitabilmente, una profonda sfiducia nel futuro, ovvero, nella speranza che il futuro dei giovani sia migliore di quello dei loro padri. È questo il vero scoglio contro cui si scontrano, tanto nel settore privato quanto in quello pubblico, gran parte delle ambizioni di tanti giovani e, con loro, delle loro famiglie. Questo senso di sfiducia e di impotenza e’ poi alla base della diffusa disaffezione per la politica e per le istituzioni, che si traduce in una scarsa partecipazione dei cittadini alla vita democratica del Paese.
Ciò che è ancor più preoccupante è constatare come siamo ormai tanto abituati a questo sistema di intrecci e conflitti di interesse, di padroni e padroncini, che ormai non si scandalizza più nessuno. È contro questo atteggiamento remissivo che Italia Unica deve promuovere una vera rivoluzione, trasmettendo la percezione che spezzare le catene delle oligarchie – che, impedendo anziché favorire l’inclusione sociale, impoveriscono il Paese – ‘si può e, quindi, si deve’.
Dobbiamo essere in grado di far comprendere le ragioni dell’impegno di Corrado e del nostro facendo nostra la causa dell’inclusione sociale basata su ricette tese a promuovere la mobilità sociale attraverso più concorrenza e contendibilita delle opportunità, più libertà e autogoverno, controbilanciata da una maggiore azione pubblica in chiave sussidiaria, tesa a promuovere l’uguaglianza nei punti di partenza.
Su questo terreno, le nostre proposte su Scuola e Università e la nostra capacità di comunicarle nel modo giusto, rappresentano una sfida importante su cui misurarci. Un altro fronte su cui questo approccio merita di essere esplorato e portato avanti con convinzione e’, ovviamente, quello della Riforma della Pubblica Amministrazione. In questo campo, le nostre proposte devono portare ad una vera e definitiva separazione tra politica (che per definizione è rappresentanza di interessi di parte) e amministrazione (che, pur cooperando lealmente con l’organo politico, deve esprimere quel buon andamento e quell’imparzialità in grado, all’occorrenza, anche di fare da contropotere rispetto a quello politico, laddove ciò sia ritenuto necessario per tutelare gli interessi dei cittadini) superando l’idea secondo cui ad un’amministrazione debba sempre necessariamente corrispondere un vertice politico rispetto al quale risulti servente. È un modello organizzativo vecchio, superato, ormai incapace di cogliere il mutato rapporto tra pubblici poteri e società. La sfida oggi è, da un lato, quella dell’integrazione e della condivisione dei servizi e delle risorse e, dall’altro, della capacità della politica di governare le reti promuovendo azioni politico-amministrative attraverso l’adozione di un approccio di governance anziché di government e promuovendo lo sviluppo di relazioni orizzontali tra attori pubblici e privati.
Purtroppo il Governo Renzi e la Riforma Madia vanno nella direzione diametralmente opposta, e cioè verso una militarizzazione e un discutibile ampliamento della discrezionalità della pubblica amministrazione. In questo senso, tali riforme si pongono quale necessario corollario ed a completamento di quel disegno di sistematica occupazione del potere portata avanti da Matteo Renzi negli ultimi mesi e nel quale rientra anche la riforma del Senato e della la legge elettorale.
Sul fisco – che è vero punto di partenza per riorganizzare la Pubblica Amministrazione ed intervenire sulla spesa – dobbiamo avere il coraggio di proporre un livello di tassazione tale da incoraggiare gli investimenti, stabilendo un budget per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni a carico della finanza pubblica, indicando linee chiare di intervento del settore pubblico tese a superare definitivamente il modello servizio pubblico = erogatore necessariamente pubblico. Specie sul fronte dei servizi sociali, dobbiamo puntare sull’effettività dei diritti sociali piuttosto che sulla difesa dei monopoli pubblici che, al contrario, bruciando risorse, né limitano la fruibilità per i cittadini piuttosto che aumentarne.
Su questi temi, senza timore, occorre porsi come portatori di una cultura istituzionale inclusiva e tesa a promuovere lo sviluppo attraverso appunto l’inclusione sociale di coloro che oggi sono esclusi dal mondo del lavoro, dell’impresa e della rappresentanza. Dobbiamo porci invece in contrapposizione netta con i portatori di una cultura populista, centralista e profondamente antidemocratica, dietro i quali si nasconde in realtà solo il mantenimento dello status quo o, addirittura, il suo peggioramento.
Infine, con riguardo al rapporto tra squadra programmatica nazionale e territorio, dobbiamo sforzarci di superare la dicotomia tra elaborazione dei contenuti programmatici e ricerca del consenso che caratterizza gran parte delle attuali forze politiche. Dobbiamo fare sintesi. II territorio deve alzarci la palla, ponendo quesiti e stimolando con casi ed esempi concreti le riflessioni della squadra programmatica. Solo così riusciremo a creare una sinergia virtuosa dove i tecnici dovranno imparare sempre più a comunicare i contenuti in modo semplice e immediatamente percepibile mentre coloro che sono impegnati sul territorio dovranno essere sempre più filtro tra i bisogni dei cittadini e l’elaborazione di proposte e soluzioni tecniche.
La strada è senza dubbio ancora molto lunga. Ma oggi, in questa sala, si percepisce una grande energia positiva, un grande impegno e una passione per il bene comune che è di ben pochi partiti politici. Sono segnali, questi, che mi fanno credere che siamo una ventata di novità,  la ventata di novità che serviva al Paese!
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