Non esistono più spazi per politiche economiche da sinistra tradizionale. L’eurozona è soltanto l’ultima area del pianeta ad aver dovuto fare i conti con la fine del welfarismo novecentesco. Finanziare diritti in disavanzo sulle generazioni future emettendo tanti Btp non funziona più. Non piace più ai mercati finanziari e, soprattutto, perché è una tipologia di politica economica che non è di moda nei paesi dove il pil cresce: non lo seguono i Bric e le economie emergenti. Urge una nuova visione di politica economica al passo con il nuovo mondo.
Del resto, il populismo neowelfarista di Alexis Tsipras è durato lo spazio di un fine settimana. Giusto il tempo di capire che, senza possibilità di accesso ai mercati finanziari, chi vive a deficit sulle generazioni future può facilmente promettere in campagna elettorale diritti non coperti da cash flow, ma non avere, poi, le giuste argomentazioni per convincere i tedeschi a pagarli.
Le politiche welfariste tradizionali, quelle del novecento, sono state archiviate, anche se la stragrande maggioranza della sinistra europea fatica a capirlo, dall’emersione di tre macro cambiamenti: la germanizzazione dell’eurozona; la globalizzazione della finanza che non considera più a rischio zero i titoli emessi dagli stati o dagli enti pubblici; la deflazione totale imposta dall’innovazione tecnologica a tutti i fattori produttivi che si traduce nella necessità di migliorare costantemente la produttività sistemica.
A differenza della maggioranza dei leader sinistrati europei il Premier italiano, Matteo Renzi, ha ben chiaro lo scenario in cui deve navigare e tira dritto per la sua strada facendo le uniche politiche che in un mondo globalizzato la sinistra può fare: riformare la spesa pubblica e rendere efficienti i mercati, incluso quello del lavoro. Certo, ha dovuto varare il Jobs Act cassando gli orpelli novecenteschi che il Parlamento voleva imporgli, perché aveva promesso alla Merkel e a Draghi di farlo prima dell’inizio del quantitative easing della Bce. Ma anche senza il pressing di Berlino Renzi avrebbe riformato il mercato del lavoro.
La visione renziana di un welfare da ventunesimo secolo inevitabilmente è destinata a propagarsi a livello di governi locali. E qualche spiraglio di luce si vede già. La Regione Lazio, la cui sanità è da sempre in disavanzo ed ha accumulato il più importante debito territoriale del Bel Paese, si è decisa a cambiare passo. Ha nominato subcommissario alla sanità Giovanni Bissoni, per 15 anni assessore alla sanità in Emilia-Romagna una regione da sempre in equilibrio.
Ora Bissoni, che di buona sanità se ne intende, deve chiudere il doppio gap del Lazio: quello della produttività delle strutture troppo più bassa di quella media emiliana o lombarda e quello del deficit annuo ancora troppo vicino al miliardo. Renzi ha “affamato” le regioni tagliando l’Irap, un taglio che per il Lazio significa circa 800 milioni in meno. Ma solo affamando la bestia puoi ottenere una spending review vera della spesa corrente. Questo, ora, lo ha capito anche Tsipras.
Edoardo Narduzzi – Presidente Crusoe