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Mps, Carige e Ubi. Come procede l’Unione bancaria europea

L'agenda guerra

Il 14 aprile prossimo sarà passato un anno da quando è stato posta in essere la seconda gamba dell’Unione Bancaria Europea (UBE), il Single Resolution Mechanism (SRM), con un apposito fondo, procedure e consiglio di amministrazione, per impedire che una grave situazione, o un fallimento, di un istituto finanziario di grandi dimensioni possa contagiare il sistema del resto dell’eurozona. Un’analisi recente dell’UBE e del SRM è nel volume di Astrid Towards the European Banking Union: Achievements and Open Problems (a cura di Emilio Barucci e di Marcello Messori, pubblicato alcuni mesi fa da Passigli Editori).

Delle altre due gambe dell’UBE, la prima (la Single Supervision System – SSS- il sistema di vigilanza europeo delle principali istituzioni bancarie e l’uniformazione di quelli nazionali per quelli di più piccole dimensioni) sta ormai facendo i primi passi tanto che a Francoforte si è dovuto costruire un nuovo edificio per ospitare quasi mille nuove assunzioni fatte dalla Banca centrale europea. La terza, il Single Deposit Guaratee Scheme (SDGS), ossia il deposito uniforme ed in parte congiunto – di garanzia dei depositi bancari è ancora in fase preliminare di trattativa; c’è anche chi ne mette in dubbio la necessità e la raison d’être.

Soffermiamoci sullo SRM che avrebbe dovuto avere non solo un fine ‘curativo’ – l’arresto del contagio od almeno la minimizzazione del rischio – ma  anche uno, forse ben più importante, preventivo – la nascita di un mercato bancario europeo effettivamente integrato, lo strumento migliore per bloccare sul nascere una futura crisi o per minimizzarne l’impatto. Lo hanno ben compreso gli americani: la settimana scorsa, uno dei principali organi regolatori in materia (la Federal Depoist Insurance Corporation) ha emesso nuove regole proprio in materie in cui gli europei si stanno si stanno accapigliando (SDGS) o sulla cui interpretazione hanno iniziato una discussione che potrebbe essere lunga ed inconcludente (in tema di SRM).

In effetti, in questi mesi ci sarebbe state occasioni per utilizzare lo SRM, quanto meno al fine di metterlo alla prova. A noi italiani, viene subito in mente il Monte dei Paschi di Siena (il cui capitale ora appartiene per il 10% al Tesoro in seguito ad un’operazione di emissioni convertibili in azioni, obbligazioni acquistate da Via Venti Settembre per impedirne un fallimento di cui si temevano le ripercussioni anche a livello europeo). MPS non è l’unico istituto italiano in difficoltà. C’è ovviamente anche Carige, i cui guai sono sulle prime pagine della stampa economica. L’elenco potrebbe essere lungo: altrimenti nel Belpaese non verrebbero sventolati progetti di una bad bank per assorbire le sofferenze, o quanto meno di ‘garanzie’ pubbliche per attutirne il peso.

Nell’Unione europea (e l’UBE ha confini più vasti dell’eurozona) i casi di banche alla ricerca di partner per sgravarsi dei loro guai sono numerosi. Oppure ne sono appena usciti e necessitano nuovi soci per raggiungere dimensioni europee. In Portogallo, ad esempio, il Novo Banco (filiazione di quello che era l’ormai defunto Banco di Espìrito Santo) necessita nuovi partner. L’ideale sarebbe potuto lo spagnolo Banco Sadaball, che ha, però, appena acquisito quattro banche britanniche proprio allo scopo – dicono quei maligni che spesso ci azzeccano – di avere più di un piede fuori dall’UBE.

In Germania, l’istituto di maggiori dimensioni, la Deutsche Bank, è in ottima salute dopo una severa ristrutturazione e sta pensando di vendere la rete al dettaglio. Anche le ex-banche popolari italiane sono alla ricerca di fusioni e concentrazioni all’interno del Paese non nella più vasta eurozona, anche se potrebbero essere appetibili a BNL-Bnp (già ben impiantata in Italia). Tuttavia, BNL-Paribas fa sapere di non essere pronta a fare il passo, ma potrebbe essere indotta ad acquisizioni internazionali se fossero in vendita, a prezzi di saldo, o MPS o Commerzbank.

In effetti, come avverte un documento del centro studi Bruegel, nel settore bancario differenze nazionali di legislazione, regolazione, tradizioni e cultura rendono operazioni transnazionali nell’area dell’euro molto più costose (circa il doppio) di quelle all’interno dei singoli Paesi.

Quindi il contributo dell’UBE, e dello SRM, pare almeno per ora modesto.

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