Alla stazione di Torino Porta Nuova, tra l’atrio principale, che dà su Corso Vittorio, e la galleria commerciale, che separa l’atrio dell’area binari, hanno messo un pianoforte. Un pianoforte con un cartello che dice “Suonami”.
L’idea si sta rivelando azzeccata perché, a tutte le ore, i passeggeri in transito o in attesa, possono decidere di sostare qualche minuto ascoltando qualche passeggero o semplicemente qualche perditempo lì di passaggio che – accolto l’invito del cartello sul pianoforte – si è messo a suonare.
Non importa chi sia, né quanto sia bravo. Come un qualsiasi T.D. Lemon Novecento, l’improvvisato interprete ora di un movimento Wagner, ora del Waltz n°2 di Shostakovic, riesce ogni volta a sintonizzarsi sui ritmi della stazione e dei suoi passeggeri. I martelletti picchiano sulle corde come i tacchi delle scarpe dei pendolari sul linoleum della stazione. Lui, al piano, ritorna sul liet motiv del suo pezzo ripetendolo all’ottava superiore mentre il treno fischia il suo nitrito con cui prende la corsa con un assordante sferragliare.
Guardi i tasti bianchi e neri sul pianoforte e ti sembrano i binari con i treni pronti a partire. Ognuno verso la sua destinazione. Nota.
Sembra proprio il salone del Virginian, la Stazione di Torino Porta Nuova. In effetti, dalla stazione passa il mondo così come il mondo passava dentro il Virginian. Uno spazio finito accoglieva un numero infinito di facce, di storie. Tutte piene di speranze, di felicità o dolori. E così era la tastiera. Un numero limitato di tasti che poteva suonare un infinto numero di melodie. Tutte le sensibilità, tutte le emozioni, tutti i sentimenti potevano venire raccontati in musica da un pianoforte.
In molti temevano che il pianoforte lì a Porta Nuova facesse una brutta fine. Distrutto da qualche atto vandalico. Vale la lezione di Pierre Dulaine che a New York portò dentro le scuole dei quartieri più degradati della città l’insegnamento del ballo da sala. Fu grazie al ballo da sala che i giovani adolescenti maschi impararono a portare una donna e le giovani adolescenti femmine a essere portare. – Lui si offre di portarti, tu decidi se farti condurre -. Così diceva Dulaine.
Perché qualunque viaggio, quando mettiamo il piede sul gradino che ci porta a bordo del treno, anche se la destinazione è nota, è comunque un passo verso una meta che è ignota. Così è per le dita che corrono sui tasti. Anche loro alla ricerca nota dopo nota, della successiva. Una buona musica non è altro che una vita spesa bene. Una partitura dove le dita hanno sempre trovato il posto giusto dove picchiare al passo successivo.
Piace a tutti il pianoforte a Porta Nuova perché dentro a quelle melodie, che per colpa dell’interprete non sempre impeccabile si fatica a riconoscere, c’è un po’ la vita e la storia di altri passeggeri che li hanno preceduti. E ognuno da quelle note che in quel preciso momento suonano trae conforto. Si sente in compagnia dell’umanità che l’ha preceduto nello stesso viaggio.
Le note del pianoforte a Porta Nuova, senza passare per la logica, arrivano dirette al cuore. E una croma che balla il valzer con la sua biscroma sono capaci di regalare a chi passa un ricordo, una nostalgia. Di risvegliare un pensiero buono. L’antidoto contro il degrado.
Un pianoforte a Torino Porta Nuova
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