Sono una piccola riserva, un po’ come gli indiani d’America. Fedelissimi ai loro ideali, con un attaccamento quasi viscerale a quell’edera verde che ancora batte nei loro cuori, ma con percentuali di consenso a tratti impalbabili. Eppure i Repubblicani esistono ancora. Il Pri di oggi sarà pure solo un lontano parente di quella storica forza politica della Prima Repubblica guidata da Ugo La Malfa, eppure è l’unica ad essere rimasta in vita e oggi la più longeva d’Italia.
Nel primo weekend di marzo ha tenuto il suo 47° congresso nazionale, mentre sabato prossimo all’Hotel Colosseum di Roma sarà eletto il nuovo segretario espressione del rinnovato consiglio. Tuttavia, in questa piccola famiglia dove l’età media si fa sempre più alta e i litigi aumentano con la stessa velocità con cui crollano i numeri degli iscritti, una nuova scissione (l’ennesima) è dietro l’angolo. L’ultimo congresso è stato infatti disertato da una fetta importante di militanti e dirigenti romagnoli – regione dove l’edera ha ancora un certo consenso – ma soprattutto a giochi fatti è arrivata una dura presa di posizione dalle Marche.
CONGRESSO DA ANNULLARE
La Federazione regionale delle Marche non riconosce il 47° congresso del Pri. Il motivo? “Perché celebrato in modo scorretto statutariamente e perché ha di fatto annullato il deliberato del precedente congresso del 2011 che aveva sancito la riunificazione della famiglia repubblicana, divisasi dopo il congresso di Bari, con la decisione proditoria di calcolare i voti congressuali con riferimento ai voti riportati dal partito nelle elezioni europee del 2004, cioè quando il partito era diviso e gli iscritti all’Mre erano autonomi”. Così scrivono i repubblicani marchigiani guidati da Luciana Sbarbati, fondatrice del Movimento repubblicani europei (Mre) nato dopo la diaspora dell’edera in seguito all’accordo con Silvio Berlusconi. Eletta all’europarlamento con l’Ulivo e al Senato col Pd, l’ex parlamentare Sbarbati ha sempre sposato la linea di alleanze a sinistra, in contrasto con i vertici nazionali. Così ora la “sua” Federazione marchigiana si proclama autonoma dal punto di vista politico e organizzativo, chiedendo “che venga celebrato con la massima urgenza, prima dell’estate, un congresso straordinario del partito aperto a tutti i repubblicani”.
APPELLO ALL’UNITA’
E pensare che prima di arrivare a questo congresso all’interno del Pri si era lavorato per raggiungere un’unità. Peccato che nonostante siano rimasti pochissimi, i repubblicani siano ancora in grado di dividersi tra loro. Un comitato promotore, dove spicca Giancarlo Tartaglia (direttore della Federazione nazionale della stampa italiana), aveva lanciato un appello a “tutti i repubblicani, fuori e dentro il partito”, puntando a un duplice obiettivo: “da un lato verificare se per i tanti amici che non sono da tempo più iscritti, il partito repubblicano potesse rappresentare ancora una prospettiva politica, dall’altro, invitare quanti ancora iscritti al Pri fossero disponibili ad una riflessione sulla opportunità di archiviare le polemiche, passate e recenti, e favorevoli a un congresso aperto di rifondazione”. La risposta, spiega Tartaglia, è stata positiva e arrivata insieme con la richiesta di “una linea politica chiara e lontana dalle infelici scelte di schieramento” della Seconda Repubblica. Per Tartaglia & Co la conclusione del congresso è stata pertanto “mortificante” e in questo modo “si condanna il Pri ad una irreversibile necrosi”. Il direttore Fnsi non ha intenzione di restare fermo e in settimana a Roma dovrebbe incontrare gli aderenti al suo appello per decidere come muoversi.
LA MOZIONE CONGRESSUALE: COSTITUENTE REPUBBLICANA
Dopo la relazione del coordinatore nazionale Saverio Collura, che da undici mesi ha preso il testimone dall’ex viceministro Francesco Nucara (oggi presidente nazionale), il congresso ha votato una mozione unitaria ad ampia maggioranza ed eletto i cento consiglieri nazionali che sabato voteranno direzione e segretario. Nel documento congressuale il Pri boccia l’esecutivo Renzi, constatando “che le soluzioni sino ad ora messe in atto dal Governo non appaiono congruenti con le esigenze e gli obiettivi del Paese, e quindi non sono risolutive”. Quindi esprime “forti preoccupazioni per la insufficienza dell’attuale politica italiana” e sulla collocazione politica “conferma la necessità di dar vita al progetto della Costituente Repubblicana, Liberal-democratica, quale proposta politica in grado di rappresentare un’alternativa alla crisi della politica italiana”. Due le direttrici da seguire: prospettiva politico-federativa in Ue con consolidamento della moneta unica e nuova articolazione dello Stato italiano con cinque o sei macroregioni con funzioni di programmazione.