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Tutti i rischi economici per l’Italia della Libia terrorizzata

libia

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class, pubblichiamo un articolo di Andrea Pira uscito sul settimanale Milano Finanza

Due governi, due Parlamenti, una banca centrale costretta a operare da Malta, la presenza di 1.700 milizie e da ultimo lo spettro del Califfato nero.

Sono le tessere che compongono il puzzle libico, al quale la Comunità internazionale cerca di trovare una soluzione prima di vedere precipitare il Paese nel gruppo degli Stati falliti e della somalizzazione.

IL DOSSIER SACE

Per dare un’idea della situazione, basti pensare che Sace assegna alla Libia un coefficiente di rischio tra 80 e 90, in una scala nella quale 100 è il rischio massimo. Si tratta tuttavia di una fotografia scattata a metà del 2014. Gli eventi degli ultimi giorni potrebbero spingere ancora verso l’alto il livello di rischio Paese. L’ultima settimana si è aperta con la sospensione delle attività dell’ambasciata italiana a Tripoli e con le operazione militari egiziane contro la presenza dello Stato Islamico in risposta all’uccisione di 21 ostaggi copti. Venerdì 20 febbraio un attentato a Qubbah, vicino a Derna, ha fatto almeno 30 morti. L’Isis ha rivendicato l’attacco come aveva fatto un mese fa con l’assalto all’hotel Corinthia di Tripoli.

ENI E NON SOLO

Nel mentre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha rimarcato la necessità di proseguire sulla strada del dialogo per tentare di sanare la frattura tra i due governi e arrivare a un esecutivo di unità nazionale. Posizione che trova concorde l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, mentre il Cane a sei zampe ha richiamato parte dei dipendenti. “Appoggiamo pienamente il dialogo che l’Onu sta portando avanti e auspichiamo che riesca a finalizzarsi velocemente”, ha detto il numero uno di Eni. “Penso che il dialogo sia l’unico modo per poter arrivare a una soluzione. Dobbiamo fare in fretta perché questi episodi terroristici stanno minando il dialogo. Una Libia unita deve essere l’obiettivo di tutti”.

LO SCENARIO

Da una parte infatti c’è il governo riconosciuto internazionalmente, con alla guida il primo ministro Abdullah al Thinni e con sede a Tobrouk, nell’est del Paese. Dall’altra il governo di Tripoli appoggiato dai miliziani della cosiddetta Alba libica. “Oltre alla situazione di insicurezza, politicamente non sa più chi sia la controparte delle aziende”, spiega il capo economista di Sace, Alessandro Terzulli. Un nodo fondamentale. Alla caduta di Muhammar di Gheddafi nel 2011 Selex si era trovata senza interlocutore per portare avanti un contratto da 300 milioni di euro, firmato nell’ottobre di due anni prima, per un sistema di controllo e sicurezza dei confini, poi congelato. Non appena si era ripresentata la possibilità di avere una controparte con cui dialogare, i vertici della società di Finmeccanica si erano immediatamente attivati per far ripartire l’accordo.

I NUMERI DELL’ESPERTO

La Libia, spiega ancora Terzulli, è un Paese che poteva contare su una certa “solidità economica di fondo”. Dopo il crollo del 2011 era iniziata la ripresa, ma la crescita sembra essersi bloccata. Il 2014 si è chiuso in recessione. Lo stesso dovrebbe accadere anche quest’anno, mentre le previsioni positive per il 2016 potrebbero non aver ancora metabolizzato gli avvenimenti recenti. Il primo impatto forte di questa crisi è sulla domanda e l’Italia in questo contesto è tra i Paesi che ne risentono maggiormente. Nel 2011 le esportazioni verso la Libia erano crollate di oltre il 77% rispetto all’anno precedente. Il 2012 aveva invece fatto registrare un balzo del 293,6% e la risalita era continuata con il 19% del 2013. L’anno scorso ha invece segnato un’inversione di tendenza. Le esportazioni, tenendo presente soltanto il periodo gennaio-ottobre in attesa dei dati definitivi, sono scese del 18,4%. Per alcuni settori, come la meccanica strumentale e i metalli, la percentuale sale addirittura al 30-40%.

COSA DICE LA CAMERA DI COMMERCIO ITALO-LIBICA

C’è poi il settore delle forniture di prodotti alimentari, ricorda l’architetto Gianfranco Damiano, presidente della Camera di commercio italo-libica, che sottolinea di aver riscontrato allo stesso tempo a una maggiore presenza di competitor turchi. C’è poi il capitolo aeroporti. Lo scalo internazionale di Tripoli è chiuso, ricorda Damiano, così come quello di Bengasi, con ripercussioni sulla logistica. Della difficile situazione degli aeroporti libici, diventati bersaglio delle milizie, dovrebbe risentire con qualche probabilità Enav, che a settembre 2013 si era aggiudicata assieme alla controllata Techno Sky, due commesse dalla Libyan Civil Aviation Authority per innovare i servizi della navigazione aerea per successivi cinque anni.

LE AZIENDE ITALIANE

Per le società italiane la Libia è però in gran parte legata alla ricostruzione, all’edilizia e alle infrastrutture. Sul sito internet di Salini Impregilo si parla di quattro i lavori ancora in corso: l’ammodernamento dell’aeroporto al Kufra, valore del progetto 57 milioni di euro; il lotto 1 dell’ autostrada Ras Ejdyer-Emssad, per un valore di 944,5 milioni di euro, la conference hall di Tripoli e altri progetti di urbanizzazione nella capitale e a Misurata. Se invece si inverte il punto di vista e si guarda alle partecipazioni libiche in Italia può preoccupare il 2,922% di UniCredit  detenuto dalla Banca centrale libica. L’istituto centrale, ha sottolineato Damiano, è fuori dai giochi perché lavora da Malta e teoricamente risponde al governo al Thinni. Se c’è un problema legato alle banche, quello è per la popolazione, con i bancomat che non danno soldi e le lettere di credito che diventano problematiche.

IL GIUDIZIO DELL’ANALISTA

“La crisi libica ha un impatto dovuto alla prossimità al legame storico per l’Italia, con un conseguente effetto mediatico notevole dei conflitti in atto, ma le conseguenze dirette sui titoli quotati sono contenute”, dice Stefano Fabiani, responsabile gestioni patrimoniali di Zenit sgr. Per il gruppo Finmeccanica, includendo anche Ansaldo Sts , e per il gruppo Salini, la loro presenza è limitata a poche commesse e a qualche joint venture, con un impatto sui conti trascurabile. Resta Retelit (il 14,8% è di LibyanPost telecommunication and IT Company) che in novembre aveva già comunicato al mercato una revisione al ribasso del piano industriale dovuta all’impossibilità nel contesto attuale di portare avanti alcuni progetti riguardanti proprio la Libia. Ma Damiano si mantiene ottimista e spiega che, conoscendo il Paese, vede positivo. A patto che la soluzione della crisi sia politica.



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