Diciamolo subito, a scanso di equivoci e, soprattutto, senza retorica: ad Alfonso Sabella deve andare un indiscusso riconoscimento per la lotta alla mafia di cui è stato protagonista. Magistrato giovanissimo, dal 1993 è entrato alla Procura antimafia di Palermo diretta da Gian Carlo Caselli: c’è la sua firma dietro i grandi arresti eccellenti di latitanti, a cominciare da Leoluca Bagarella, Giovanni ed Enzo Brusca, Pietro Aglieri, Nino Mangano, Vito Vitale, Mico Farinella, Cosimo Lo Nigro, Carlo Greco e decine di altri. Per capirci, davanti a lui Giovanni Brusca ha rilasciato le prime dichiarazioni sulla trattativa stato mafia. Detto questo, credo che le sue dichiarazioni sulla scarsa preparazione e professionalità dei dipendenti del Comune di Roma siano state sbagliate. Nel corso di un incontro al Municipio X di Roma, Sabella, suo nuovo ruolo di Assessore alla Legalità a Roma, voluto fortemente da Ignazio Marino, ha dichiarato di aver trovato “un’amministrazione scarsamente preparata, sul piano professionale”. “Non so di chi sia la responsabilità – ha aggiunto Sabella – ma purtroppo la media non è all’altezza di quello che Roma Capitale merita”. Non si tratta di lavare i panni sporchi in famiglia, naturalmente. Ognuno, soprattutto se in posizioni di responsabilità all’interno di un’organizzazione, ha il dovere di esprimersi in trasparenza. E non voglio neppure contestare il merito di quelle dichiarazioni: non conosco la realtà amministrativa di Roma Capitale e non mi interessa lanciarmi in difese aprioristiche del personale. Tuttavia, posso azzardare che ben difficilmente in due mesi l’assessore abbia potuto farsi un’idea della effettiva professionalità di 24.000 dipendenti, avendo evidentemente avuto rapporti con strutture di vertice e dirigenti. Ma, soprattutto, credo che alle critiche vadano sempre accompagnate delle soluzioni: quando si gestisce una macchina complessa come complesse sono le tante pubbliche amministrazioni (e Roma è un rompicapo), occorre agire oltre che denunciare. Posto che tanta politica ha usato da sempre gli uffici pubblici come territorio di conquista, non perderei mai di vista il principio che il funzionario pubblico, così come qualsiasi persona che lavori in una struttura, sia essa pubblica che privata, non è un soldatino: non basta premere un pulsante perché si azioni e quel tal risultato venga conseguito. So di dare una delusione ai tanti cittadini che – pure legittimamente – si lamentano, ma questa è semplicemente un’illusione. Non è vero per un Comune, non è vero per una compagnia telefonica, per una banca, per un’assicurazione. E allora, se lassismo e illiceità non possono essere tollerate, occorre che si investa sulle persone: in un’organizzazione gli individui chiedono attenzione prima ancora che denaro, coinvolgimento al posto di ordini di servizio. Se non ci togliamo dalla testa questa idea fordista e terribilmente antica di come deve lavorare oggi una amministrazione pubblica, continueremo a lanciare roboanti proclami ma a non stringere nulla. Informarsi, prima. E denunciare, dopo. Proponendo soluzioni. Altrimenti faremo tanto rumore per nulla.
Sabella ed il rischio di far tanto rumore per nulla
Di