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Vi spiego tutte le potenzialità del Jobs Act. Parla Scabbio (Manpower)

Più che portare i primi segnali di ripresa, come vorrebbe il presidente del Consiglio Matteo Renzi, anche il Jobs Act sembra trarre beneficio da un migliore contesto macroeconomico europeo. Dopo l’iniezione di liquidità voluta dalla Banca centrale europea e con il prezzo del petrolio ai minimi, infatti, pare che gli imprenditori abbiano ripreso a investire e siano tornati ad assumere. Cosa che, senza il Jobs Act, probabilmente, sarebbe potuto essere più costoso e complicato fare. A tal punto che qualche investitore straniero avrebbe potuto ripensarci su. Mentre, dopo il superamento dell’articolo 18, avvenuto per mezzo del contratto a tutele crescenti, difficilmente tornerà sui suoi passi.

A illustrare le principali novità e a dare una prima valutazione dei decreti attuativi del Jobs Act a Formiche.net è Stefano Scabbio, presidente dell’Area Mediterranea per Manpower Group, il colosso statunitense del recruiting, che da oltre vent’anni è presente anche in Italia per aiutare i cittadini a trovare un impiego.

Scabbio, come valuta i decreti attuativi del Jobs Act?

Si tratta di misure che vanno nella giusta direzione; anche se ci sono ancora alcuni aspetti su cui sarebbe opportuno intervenire per migliorare l’impianto complessivo della riforma, coerentemente agli obiettivi che essa aspira a conseguire.

Quali obiettivi?

In primo luogo, con l’introduzione del contratto a tutele crescenti, il Jobs Act ha voluto rafforzare la flessibilità in uscita, nonché rendere trasparente l’effettivo costo del lavoro. In secondo luogo, con il contratto di ricollocazione, si è voluto spostare il peso dalle politiche passive a quelle attive, abbandonando una logica esclusivamente assistenzialista per chi perde il posto di lavoro a vantaggio di una logica ispirata, invece, ai più moderni principi della flexsecurity. Lo dimostra la scelta di impegnare il lavoratore, attraverso l’utilizzo di un voucher, in un percorso di riqualificazione delle sue competenze, in un’ottica di mantenimento della propria employability. Si tratta, in entrambi i casi, di interventi attesi, ma manca ancora qualcosa per completare il disegno.

Cosa manca?

Mi aspetto che in occasione della legge delega che tratterà dei servizi al lavoro, e che andrà in discussione al Parlamento entro giugno, il governo sveli che tipo di cooperazione pubblico-privato ha intenzione di adottare, relativamente alle agenzie per il lavoro. Perché la frammentazione regionale oggi in vigore, con regole e processi completamente distinti da regione a regione, rende difficile operare; lo dimostra, non è un caso, il fallimento della Garanzia Giovani. A conferma che a pagare il prezzo maggiore sono, purtroppo, sempre loro: i più giovani. Mentre anche una recente sentenza della Corte di Giustizia Ue chiede ai paesi membri la rimozione delle restrizioni non giustificate al ricorso alle agenzie per il lavoro.

Non crede che scommettere sul contratto a tutele crescenti, rinunciando, invece, al contratto a progetto, possa ridurre per loro le opportunità d’impiego?

Non credo, anche se bisogna aspettare qualche mese per poter valutare gli effettivi impatti sul mercato del lavoro delle novità contenute nel Jobs Act. Quello che registriamo, tuttavia, è una maggiore propensione ad assumere da parte delle imprese italiane. Da gennaio a dicembre 2014, per esempio, abbiamo assunto 3.400 persone a tempo indeterminato per destinarli alle imprese attraverso contratti in staff leasing, una tipologia contrattuale che rispetta le esigenze di flessibilità del mondo del lavoro.

Merito di Renzi o del Quantitative Easing voluto dal presidente della Bce Mario Draghi?

Se un aumento delle assunzioni è stato registrato, e non solo da parte nostra, come dimostrano i dati, qualcosa vorrà pur dire. Sicuramente in molti casi si tratta di stabilizzazione di contratti a tempo determinato già esistenti, che sono stati tramutati in contratti a tutele crescenti. Ma nel nostro caso, si tratta di assunzioni principalmente dovute alla maggior richiesta da parte delle aziende, in vista delle novità che sono appena state varate dall’esecutivo. Certo, poi, rappresenta indubbiamente un vantaggio, per chi volesse assumere, il fatto di avere un costo praticamente nullo per reperire capitali sui mercati europei, un prezzo del petrolio ai minimi storici, così come un rapporto euro dollaro così vantaggioso.

L’articolo 18 è stato effettivamente superato, oppure le ultime parole in tema di licenziamenti disciplinari spetteranno ancora al giudice?

Innanzitutto, ricordiamoci che le aziende italiane sanno benissimo che il capitale umano è un fattore imprescindibile affinché l’Italia possa ripartire; e francamente non conosco imprenditori che vogliano licenziare tanto per farlo. Ciò detto, credo che la nuova disciplina del contratto di lavoro a tutele crescenti sia un passo avanti importante. Perché ora la normativa di riferimento è più trasparente e invita alla transazione del lavoratore. Credo che si tratti di una novità che non solo contribuirà a snellire il processo giudiziale, in questo momento ancora estremamente lungo e gravoso per il Paese; ma che contribuirà anche a riportare gli investitori stranieri in Italia.

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