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Scuola, finalmente una soluzione o ancora nozze coi fichi secchi?

Si è acquietato da pochi giorni il battage pubblicitario sulla Buona Scuola per cui è possibile riflettere a freddo su cosa ci sia dietro le parole su un tema di una tale delicatezza per il paese.

Va detto che da ormai troppo tempo la nostra scuola non marcia come dovrebbe e potrebbe nonostante l’ottima qualità media dei nostri docenti. Di conseguenza, un governo accorto dovrebbe essere cosciente della necessità che le cose cambino in meglio perché è evidente agli occhi di tutti che un paese che non presti attenzione alla formazione è destinato a declinare inesorabilmente. E l’Italia questa discesa all’inferno l’ha, purtroppo, iniziata da tempo.

E così abbiamo ascoltato una serie di affermazioni che sarebbe disonesto non condividere. Chi non può essere d’accordo che “la scuola deve essere al centro del paese”, che “le classi pollaio sono inaccettabili” o che “la riforma la dobbiamo fare tutti”? Sono cose ovvie, ma vengono presentate come una grande rivoluzione epocale; chi può negare che è arrivato il momento di “ridare dignità al mestiere di insegnante” così come è stato molti anni fa quando docente era una parola sacra ed i maestri erano rispettati perché si riconosceva loro la funzione fondamentale di educatore dei giovani.

In tutti i discorsi però risalta un convitato di pietra, un grande assente che si è evitato di citare da parte di tutti coloro che hanno partecipato al dibattito sulla scuola: la remunerazione degli insegnanti considerati dallo Stato, nei fatti, cittadini di serie B vista l’entità dei loro stipendi, tra i più bassi di Europa.

Tutti hanno parlato di dignità del docente magnificandone il ruolo ma evitando accuratamente di prendere in conto la “dignità economica” del singolo docente che non può certo accontentarsi dei pochi spiccioli previsti dalle modalità della premialità.

Parlare di buona scuola evitando di parlare di questo significa, ancora una volta, voler nascondere sotto un tappeto di affermazioni roboanti la polvere accumulata da anni di disinteresse  politico salvo sporadiche fiammate inefficaci.

A questo si aggiunge il tema altrettanto serio della soluzione del problema del precariato, di supplenti annuali che, se va bene, sono rinnovati annualmente o addirittura assunti e pagati per i mesi nei  quali svolgono l’insegnamento ma non per un anno intero: persone e famiglie  votati al gandismo obbligato  nei mesi di chiusura dei corsi.

Da quello che si evince dalle affermazioni dei responsabili forse una parte di costoro avranno le loro posizioni sanate con una immissione in ruolo in tempi peraltro non chiari mentre altri resteranno furi dal gruppo per qualche motivo; ennesima soluzione all’italiana in cui spesso la pezza a colore prevista non è abbastanza larga per turare il buco della tela che si tenta di riparare.

L’Europa ha già evidenziato che una larga maggioranza di casi di persone che hanno lavorato con continuità per almeno tre anni dovrebbero essere assunte stabilmente dallo Stato in virtù di precisi diritti acquisiti. Le date previste per la soluzione tampone  non sono certe mentre cresce il peso dei ricorsi destinati a ingolfare la giustizia amministrativa con possibilità di successo quasi certe.

I responsabili istituzionali hanno indicato che “finalmente” si ripartirà dal merito per la selezione dei docenti futuri: ma nel frattempo? Non è nemmeno chiaro se i soldi per l’operazione risanamento ci siano per cui pare si dovranno attingere al cinque per mille. Anche qui, a meno che eventi particolari e inattesi non obblighino a dirottare i fondi su altre poste più critiche; e sappiamo bene come nel nostro paese c’è sempre una qualche emergenza urgente da sanare. Ecco allora che i buoni propositi verrebbero ancora una volta smentiti dai dal destino cinico e baro.

Può un Paese, seconda economia manifatturiera d’Europa, continuare a vivere in queste condizioni di incertezza in un tema così strategico per il proprio futuro? E’ mai possibile che non si arrivi almeno una volta a programmare degli interventi che siano risolutivi per un rilancio effettivo?

Staremo a vedere, consci che sbagliare ancora una volta significa aver definitivamente abdicato al ruolo, questo si fondamentale, di ridare dignità ai formatori assicurando al contempo un futuro migliore alle nuove generazioni.

Si sarebbe dovuto avere il coraggio di risolvere il problema a monte e in un colpo solo trovando i soldi necessari per una sistemazione dignitosa per tutti gli operatori del settore in modo da poter ripartire effettivamente su basi nuove per una scuola 2.0. Non resta che sperare ma gli atti concreti sono molto più difficili da realizzare mentre le parole richiedono minore impegno. Tanto domani è un altro giorno.

Ezio Bussoletti



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