Dopo la firma dello “storico” accordo fiscale tra Italia e Svizzera, che nelle speranze del nostro governo dovrebbe riportare a casa molti soldi, producendo un bel gettito d’imposta, sia una tantum che su base regolare, può essere utile allargare ed allungare lo sguardo sui destini fiscali dell’Italia e degli italiani.
Intanto, gli accordi con la Svizzera sono il frutto maturo di un movimento globale anti evasione ed elusione che si è originato dall’inizio della crisi e che ha il suo epicentro negli Stati Uniti, con le retate di banchieri svizzeri fuori sede e le randellate sanzionatorie miliardarie elargite generosamente agli intermediari di tutto il pianeta. Era piuttosto evidente che, essendo ancora il pivot planetario, gli americani avrebbero condotto le danze. Sotto questo aspetto, quindi, l’Italia si aggrega alla tendenza ed il governo Renzi si trova all’appuntamento con la storia, minuscola o maiuscola.
Riguardo alla consistenza del “tesoretto” che entrerà nelle casse dell’erario italiano su base ricorrente, lo scopriremo solo vivendo. Le stime, anche da parte degli intermediari finanziari interessati, sono le più disparate, variando da un paio di miliardi a dieci-quindici miliardi annui.
Il principio di base, in questo movimento globale verso la ridefinizione delle regole del gioco fiscale, è che si tenterà sempre più di contrastare situazioni in cui singole imprese godano di regole personalizzate. In altri termini, quello che si andrà a combattere non sarà il tax rate del 2% o giù di lì di cui godono le imprese in alcuni paesi ma il fatto che, in quegli stessi paesi, possano esistere imprese tassate al 2% ed altre tassate dieci volte tanto, e più.
Questo significa creare un level playing field a livello globale, non significa ostacolare la concorrenza fiscale tra paesi. Spiacenti quindi per quegli smemorati esponenti della nostra sinistra (e della cosiddetta destra sociale) che invocano l’”armonizzazione” fiscale come sinonimo di adeguamento delle aliquote fiscali globali alle nostre, ed oltre. Non funziona così, non ha mai funzionato e continuerà a non funzionare.
Perché la dura realtà resta sempre quella: il capitale è mobile, le persone assai meno. Soprattutto in Europa. Questo però vale in prima approssimazione, riguardo alle persone: quando le medesime si trasformano nel loro capitale, la mobilità torna elevatissima. Qualcosa di cui tener conto anche a Roma, come scrive oggi Federico Fubini su Repubblica:
C’è però un’altra opzione, per gli italiani che intendono recuperare la disponibilità dei propri conti: trasferirsi in Svizzera e diventare contribuenti elvetici. Autoriciclaggio e voluntary disclosure rischiano di accelerare questa tendenza. Per il Tesoro di Roma il costo sarebbe elevato: secondo l’Istat oggi il 2,4% dei contribuenti più ricchi in Italia versa il 26,4% di tutte le entrate dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Circa 100mila persone garantiscono circa 40 miliardi di Irpef: incoraggiarli a trasferirsi in Svizzera, per il governo, non sarebbe il migliore degli affari possibili.
Il concetto dovrebbe essere sufficientemente chiaro. Riguardo agli “altri” italiani, quelli che sono soprattutto persone fisiche e non capitale, la sintesi è presto fatta: gli investimenti effettuati tramite intermediari italiani continueranno a restare pienamente “esposti” al nostro fisco e quindi alla voracità di gerarchetti, scimmiette e cocoriti che di volta in volta si inventeranno che si tratta di impieghi “improduttivi” e che come tali vanno tassati. Gli investimenti effettuati a mezzo di intermediari non residenti continueranno a finire sul quadro RW e di conseguenza si torna al punto precedente.
Riguardo alle imprese, soprattutto di maggiori dimensioni, che sono capitale prima che processi produttivi, stesso discorso. Serve creare un habitat fiscale, normativo e regolatorio adatto all’insediamento ed alla permanenza. Diversamente, arrivederci. Ecco quindi che, date le premesse, per un Paese come l’Italia il rischio di un futuro fatto di spremute fiscali a oltranza sulle persone fisiche, e quindi di un inevitabile declino, rischia di essere esacerbato da eventi come quello di ieri.
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