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Tante scusa a Mara Venier ma…

L’altro ieri pomeriggio salgo a bordo del Frecciabianca che da Brescia mi avrebbe riportato a Torino. Avendo perso il treno per cui avevo il biglietto per il protrarsi della riunione cui avevo preso parte, mi dirigo verso il capotreno per l’adeguamento del tagliando al nuovo convoglio. Mi viene assegnato un posto sul quale mi lascio scivolare. Dopo qualche minuto, il treno era già che si dinoccolava tra i binari, vedo che gli adetto di Itinere allo spaccio delle bevande offerte ai passeggeri della prima classe fermano il carrettino accanto a me per un selfie con il mio vicino di posto che non riuscivo a vedere per via del fatto che la poltrona dove stavo io e quella dall’altra parte del corridoio erano leggermente sfalsate.
Curioso mi affaccio e noto che si tratta della Mara nazionale. Nel frattempo suona il cellulare e inizio una telefonata interminabile. Una telefonata di lavoro di quelle che consumano dall’interno la parete dello stomaco. Dopo una ventina di minuti, Mara Venier si sporge dal suo sedile e mi guarda senza dire nulla implorando che la smettessi. In effetti non si possono postare foto su Facebook se c’è uno che parla nello stesso scompartimento. E’ una cosa inammissibile in un paese civile come l’Italia. D’un tratto una telefonata arriva a lei, e lei Mara, come a volermi dare l’esempi – perché in Italia c’è questo istinto pedagogico che ognuno cova nel suo intimo di voler insegnare la creanza a chi gli sta intorno -, prende ed esce dallo scompartimento e si mette nella zona di passaggio davanti alla porta di uscita.
Quando poi rientra, e vede che sono ancora al telefono, con tutte quelle foto da postare su facebook e l’elevato numero di messaggi – con tanto di emoticon – cui rispondere, va su tutte le furie, sradica la sua borsa dall’attaccapanni e si sposta il più lontano possibile da me.
Cerco disperatamente il numero di Signorini nella mia rubrica per tentare una mediazione. Ma non lo trovo. Chiedo al vicino che invece mi tollerava se conoscesse il numero della Marcuzzi ma non lo aveva.
Insomma ero pronto ad attaccarmi a qualunque cosa, pure al membro di Rocco correndo fino all’Isola dimostrando con un esercizio alla sbarra tutta la mia contrizione. Quella di uno che per vivere è costretto a telefonare ingoiando pillole di Pantoprazolo.

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